L’inquinamento da microplastiche è ormai diffuso globalmente. Acque potabili, miele, frutti di mare, sale da cucina, sono solo alcuni dei beni di consumo interessati dalla contaminazione, ed ora, grazie ad un’indagine de “il Salvagente”, sono nel mirino anche i soft drink prodotti da note multinazionali.
Sono stati 18 i campioni selezionati da il Salvagente – mensile leader nei Test di laboratorio contro le truffe ai consumatori – tra i soft drink consumati con maggior frequenza. Cole, aranciate, tè freddi, cedrate, gazzose tra le bevande consegnate ai laboratori del Gruppo Maurizi dove sono state analizzate secondo procedure validate dalla State University of New York.
“Attraverso l’impiego di un colorante in grado di legare i polimeri plastici, l’utilizzo di acido nitrico per dissolvere le sostanze organiche ed una filtrazione, sono state individuate e successivamente quantificate le microplastiche presenti nei campioni di bevande esaminati”, spiega Daniela Maurizi, chimica e amministratore delegato del Gruppo Maurizi.
I risultati mostrano che le microplastiche sono presenti in ogni campione analizzato, da una concentrazione massima di 18,89 mpp/l rilevata per la Seven Up ad una minima di 0,89 mpp/l riscontrata nel Thè al Limone Freeway Lidl. Si aggirano invece attorno alle 3,40 mpp/l le concentrazioni di microplastiche rinvenute nella Coca Cola, nella Fanta e nella Sprite, le bevande immesse nel mercato da Coca Cola Company, tra le principali aziende produttrici di plastica usa e getta.
L’inquinamento da microplastiche, che ricordiamo essere particelle solide di dimensioni inferiori ai 5 mm, rappresenta un problema emergente per il quale sono necessari studi approfonditi. Quel che è certo è che, una contaminazione così diffusa, rappresenta un chiaro indice di quanto sia abbondante la plastica dispersa nell’ambiente. Solamente Francia, Spagna e Italia disperdono complessivamente, ogni giorno, oltre 280 tonnellate di plastica, contribuendo a rendere il Mediterraneo uno dei mari più inquinati al mondo.
C’è poi la dibattuta questione dell’impatto sulla salute umana. Sebbene non ci siano, per ora, evidenze scientifiche della tossicità intrinseca delle microplastiche è appurato che queste siano dei vettori di altri inquinanti dei quali ne è ampiamente documentata la tossicità per l’uomo. E l’uomo, di occasioni per ingerire queste sostanze ne ha molte. “Le microplastiche hanno un odore proprio, particolare, dato dai batteri che vi si annidano, ed è per questo gli animali, oltre che involontariamente, sono indotti a mangiarle, immettendole inevitabilmente nella rete alimentare” è quanto afferma Matteo Fago, editore de “il Salvagente”. Basti pensare che il 35% degli uccelli marini e il 18% di tonni e pescispada ha plastica nello stomaco. Quello che risulta quindi da una produzione sconsiderata di un materiale sintetico non biodegradabile e la sua successiva dispersione incontrollata nell’ambiente è un effetto boomerang devastante che coinvolge ognuno di noi e il pianeta che ci ospita.
Le multinazionali, sicuramente, devono assumersi le loro responsabilità ma l’impegno individuale è quello che può produrre i risultati più concreti. “Il ruolo dei consumatori, oltre che determinante nell’orientare il mercato, è quello di ridurre direttamente il problema” sottolinea Gaetano Benedetto, Direttore Generale di WWF Italia. Entra così in gioco la comunicazione ambientale: solo attraverso una corretta, costante, ed efficace informazione è possibile fare la differenza e sensibilizzare la popolazione per poi orientarla e guidarla verso uno stile di vita rispettoso e sostenibile.
“È necessario fare qualcosa prima che sia tardi, prima che non si possa tornare indietro. Questo è stato il nostro contributo: spiegare ai consumatori che c’è un problema, un problema che non è di facilissima e immediata soluzione ma che c’è e non ce lo possiamo nascondere anche perché, se ce lo nascondiamo, ci pensano i nostri piatti, i nostri bicchieri a ricordarcelo” conclude Riccardo Quintili, Direttore de “il Salvagente”.