Alcuni giorni fa è comparsa la notizia di una super-pianta capace di assorbire la CO2 in eccesso dall’atmosfera e quindi di combattere in modo significativo il riscaldamento globale. La pianta di prossima realizzazione, grazie alla modificazione genetica, si chiama “Ideal plant” ed è stata presentata come “la superpianta che potrebbe salvare la terra“.
Al di là dell’efficacia della scoperta – su cui sta lavorando il team della biologa Joanne Chory – è interessante soffermarsi a riflettere sull’aspetto comunicativo di questo annuncio: “la superpianta che potrebbe salvare la terra”. Come infatti propone Roberto Cavallo, divulgatore ambientale, in una sua recente envinews, più che “salvare la terra”, scoperte di questo genere contribuirebbero a salvare gli umani. Insomma, la Terra si salverà da sola!
La scelta semantica di usare “Terra” al posto di “essere umano” è di centrale importanza: è sufficiente fare una ricerca sul web per rendersi conto che “salvare il pianeta” è praticamente la sola espressione utilizzata per indicare tutti quei tipi di scoperte e obiettivi che possano contrastare gli effetti del riscaldamento globale in corso. Così “salvare il pianeta dall’uomo” diventa una sentenza che nessuno osa adottare.
Insomma, finché semanticamente metteremo l’essere umano dalla parte della vittima – invece che da quella del carnefice – probabilmente non introietteremo la corresponsabilità che ci sta portando verso l’autodistruzione. E più che ricercare piante dai super-poteri che magicamente ci libereranno dai problemi di inquinamento, sarebbe più sensato iniziassimo a piantare più alberi e diminuire l’urbanizzazione selvaggia del suolo a nostra disposizione. Ma per arrivare a capirlo, oltre al buon senso, ci vuole un po’ di sana assunzione di responsabilità. Cosa di cui ce ne accorgeremo quando inizieremo a usare un linguaggio più aderente alla realtà oggettiva.
di Maurizio Bongioanni