Nonostante gli scienziati dell’IPCC abbiano ripetutamente chiesto un taglio radicale delle emissioni abbandonando ogni combustibile fossile, compreso il metano, in Italia si allunga la scia dei metanodotti, trivelle, siti di stoccaggio e centrali.
Numerose ricerche pubblicate sulle migliori riviste scientifiche internazionali dimostrano che le perdite di gas da metanodotti e centrali sono numerose, tra il 2% e il 10% a seconda del paese. Se pensiamo che questo gas, immesso direttamente in atmosfera, è 86 volte più potente della CO2 in un arco di 20 anni, capiamo perché secondo gli scienziati, deve essere considerato allo stesso livello di carbone e petrolio per la pericolosità dell’impatto sul clima.
Le lotte corrono dal sud al nord dell’Italia, contro le grandi opere di estrazione di fossili (metano, petrolio, carbone), contro le trivelle, contro il siderurgico di Taranto e le centrali a carbone e gas di Civitavecchia, Brindisi, Venezia, contro il CCS a Ravenna e la petrolizzazione dell’Adriatico. “L’uscita dal carbone in Italia non può infatti passare attraverso gli investimenti miliardari sul gas“.
Associazioni e comitati si sono uniti nella campagna “Per il Clima, fuori dal Fossile!“.
Si chiede di fermare anche la devastazione del Salento e dell’Appennino e bloccare i progetti TAP e SNAM.
Quest’ultimo progetto prevede centinaia di nuovi km tubature di gasdotti, da Brindisi a Minerbio (BO) attraversando aree ad alto valore naturalistico dell’Appennino, in territori soggetti a frequenti fenomeni di dissesto idrogeologico e sismico, molto spesso all’insaputa della gente che ci abita. Una lunghezza complessiva di circa 800 km, passando attraverso 3 Parchi Nazionali, 1 Parco Regionale, 21 Siti di Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale.
In realtà il viaggio del gas parte molto più lontano, dall’Azerbaijan, un regime autoritario. La TAP (Trans Adriatic Pipeline), finanziata e voluta dall’Europa, per portare sul mercato europeo il gas estratto nel Mar Caspio è stato contestata fin dal 2011 per l’impatto ambientale e climatico. Gli attivisti no Tap/Snam provincia di Brindisi ricordano gli scempi avvenuti in questi anni: “Nel fondale sottomarino di San Foca per colpa della TAP, sono andate già distrutte barriere coralline e praterie di poseidonia, mentre vicino a Melendugno sono stati estirpati centinaia di ulivi“.
I rischi locali sono numerosi, in primo luogo il rischio sismico. Nel tratto che interessa l’Abruzzo, il Lazio, l’Umbria e le Marche, su 28 comuni attraversati, 14 sono classificati in zona sismica. Numerosi sono i comitati che si oppongono al progetto tra Puglia, Abruzzo e Marche, (Movimento No Tap/Snam provincia di Brindisi, Coordinameno No Snam, Comitato No Tubo, No Hub, tante altre associazioni e centri sociali), ma anche regioni e comuni.
Il comune di Sulmona, altri 13 comuni e la Regione Umbria hanno presentato ricorso contro la centrale di compressione e spinta. Ricorso però respinto, almeno per la centrale, nell’estate 2020. Ad aprile 2021, un’altra doccia fredda: il Ministro Cingolani, autorizza l’A.I.A. (Autorizzazione integrata Ambientale), per la centrale di Sulmona. “Sarebbe il caso di chiamare il nuovo Ministero della Finzione Ecologica, vista la predilezione che il neo ministro Cingolani ha per il gas“. commenta desolato il coordinamento No Hub del gas di Sulmona.
La Campagna “Fuori dal Fossile” mette in allarme sul “Piano Energia e Clima” del governo, descritto come “insufficiente e pericoloso“. Non solo, il Ministero della Transizione Ecologica ha pubblicato la proposta di Piano delle aree per nuove perforazioni alla ricerca di metano da sviluppare nei prossimi decenni. Per questo l’appello: “Incontriamoci a Roma sabato 9 ottobre, portiamo la nostra protesta e le nostre proposte sotto al Ministero per reclamare un cambio di passo netto e deciso verso una vera riconversione ecologica per la giustizia climatica”.