EcoMAPUCHE è un’associazione autofinanziata e indipendente che promuove la cultura dei diritti umani, il rispetto della Madre Terra, l’amicizia col popolo mapuche e la solidarietà con tutti i popoli indigeni. Ne parliamo con Valentina Fabbri Valenzuela, italo-cilena, tra le fondatrici dell’associazione.
Perché questa associazione?
Io e mia madre Violeta abbiamo fondato EcoMapuche assieme ad amici italiani e cileni che hanno vissuto in prima persona la repressione, la violenza, l’esilio, ma anche le seconde generazioni, come me, figli e figlie dell’esilio e dell’integrazione. Nasciamo informalmente a Como nel 2006 e inizialmente ci chiamavamo “Wenuycan, associazione di amicizia e solidarietà con il popolo mapuche” (wenuy in lingua mapudungun vuol dire amico/amica). Il nostro primo obiettivo era denunciare la violazione dei diritti umani in Cile e far conoscere la cultura dei mapuche (e degli altri popoli ancestrali in resistenza da oltre 500 anni). Ho sempre pensato che siano un grande esempio di saggezza e lungimiranza per l’intera umanità, per l’immensa portata etica e politica della loro lotta nonviolenta.
Qual è l’attuale situazione degli indigeni mapuche?
Dalla rivoluzione di massa di “Chile Despertò” iniziata due anni fa, che è stata duramente repressa per mesi, in Cile si sta scrivendo una nuova Costituzione che sostituirà quella del dittatore Augusto Pinochet. Ma nelle regioni di Araucanía e Biobío i militari sono ancora al comando e continuano a sfilare con le loro armi da guerra, puntando e sparando arbitrariamente contro la popolazione, in particolare contro i membri del popolo-nazione Mapuche. Il 3 novembre scorso, il giovane mapuche Yordan Llempi è stato ucciso dall’esercito cileno. Lo stesso esercito che ha ferito diverse altre persone, tra cui una bambina di 9 anni. Le pratiche repressive continuano ad essere perpetuate quotidianamente contro il popolo mapuche. Attualmente molti prigionieri politici sono in sciopero della fame per ricordare allo stato le loro giuste rivendicazioni. Ricordiamo i 107 giorni di sciopero della fame dall’autorità spirituale machi Celestino Córdova, un human rights defender (HRD), processato e condannato ingiustamente.
EcoMapuche. Perché questo nome?
Perché i temi ambientali sono insiti nella lotta e nelle resistenze di questo popolo, mapuche in mapudungun significa infatti “gente della terra”, perché siamo tutti figli e custodi della Terra che ci ospita. I Mapuche lottano anche per motivi spirituali: difendono le loro terre, gli alberi e i fiumi perché li considerano sacri, e per loro non ci sono compensazioni che valgano. Lottano per ottenere una Giurisprudenza della Terra, contro l’impunità dei crimini aziendali e ambientali.
Una cultura che va difesa e valorizzata, come i loro luoghi sacri naturali, la medicina naturale, la musica, l’artigianato, la lingua e le tradizioni spirituali (in particolare la loro cosmovisión o concezione cosmologica).
Ma ci chiamiamo EcoMapuche anche per ricordare l’importanza della parola (dell’eco) la forza e la saggezza della cultura orale (come quella indigena e dei nostri antenati) così diversa dalla nostra cultura moderna della carta. Ci consideriamo “traduttori di culture” e non solo di lingue: dall’italiano allo spagnolo, e dallo spagnolo cileno al mapudungun, non sono solo lingue da tradurre ma culture molto diverse e con il termine sbagliato si rischia di travisare il significato profondo, per questo stiamo molto attenti alle sfumature delle parole.
Quali sono le vostre modalità comunicative?
Lanciamo appelli pubblici rivolti alle istanze internazionali (ONU), regionali (Corte interamericana per i diritti umani) e nazionali, tramite lettere aperte, comunicati e conferenze stampa, facciamo manifestazioni di solidarietà. Sosteniamo concretamente le vittime della repressione e le loro famiglie, i leader tradizionali e i politici perseguitati.
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