Romagna Tropicale è un viaggio attraverso terre, città, quartieri e vite colpite, infangate e franate, realizzato in occasione dell’anniversario dell’alluvione che tra il 16 e il 17 maggio 2023 ha sommerso la regione dell’Emilia – Romagna.
Da Faenza, a Forlì, a Conselice, da Bologna a Rastignano, tanti sono i luoghi toccati dal documentario, che in 90 minuti dà voce alla gente del posto, ma anche alle vertenze ambientali in corso. Dal Passante di Bologna, al Nodo di Rastignano, alle lottizzazioni in riva al fiume.
Il regista e antropologo francese Pascal Bernhardt ci racconta le motivazioni e le scelte stilistiche.
Perché questo film? Cosa ti ha spinto a realizzarlo?
All’inizio doveva essere un piccolo servizio commissionato da una emittente locale genovese, Good morning Genova, visto che a Genova il tema delle alluvioni è da sempre molto sentito.
Siamo partiti da un dato: il clima sta cambiando, si sta tropicalizzando, da qui il titolo, Romagna Tropicale. Poi quando siamo arrivati, abbiamo capito che oltre al riscaldamento globale, era urgente fare luce sui progetti di cementificazione e impermeabilizzazione del territorio.
Così siamo andati oltre al primo giro di riprese, oltre al servizio per la TV locale, abbiamo pensato di creare un vero e proprio documentario, tutto in autoproduzione.
Nonostante le mille difficoltà e il lavoro di un anno, tornando più volte nei luoghi colpiti, sono davvero soddisfatto.
Che scelte stilistiche hai privilegiato a livello di immagini e musica?
Il connubio tra immagine e musica è stato fondamentale, perché molto potente a livello emotivo. Ho coinvolto un musicista, Stefano D’Arcangelo compositore di musica elettronica, che ha collaborato alla colonna sonora del film con un effetto a mio parere molto coinvolgente.
La musica accompagna le immagini nei momenti di pausa della parola, ma anche in sovrapposizione alle parole per dare un senso di armonia ed emozione profonda.
Per quanto riguarda le immagini ho lavorato molto con il treppiede fisso, per fare immagini che ritraggono bene i territori, gli spazi naturali così come quelli antropizzati, privilegiando i piani larghi. Ci sono anche immagini in movimento al rallentatore, soprattutto per mostrare la vastità degli effetti della cementificazione, dai grandi centri commerciali ai cantieri.
Quali pratiche documentaristiche hai usato?
In questo documentario ci sono varie pratiche documentariste, non solo interviste agli attivisti che mettono in luce e denunciano le dinamiche di devastazione ambientale, ma anche video amatoriali e filmati di incontri pubblici, dove le voci dei tecnici, dei politici, si accavallano e a quella della gente, un gioco di sguardi, reticenze, proteste, silenzi e rumori.
Il tutto rappresentando drammaticamente e realisticamente cosa avviene nei territori.
Come si relaziona un videoreporter con la gente colpita da una catastrofe ambientale?
E’ fondamentale stabilire una buona relazione, umana e paritaria, spiegando l’intento del progetto, con le persone, fargli capire che non è per voyeurismo, o per miserabilismo. Questa è la premessa di base, che dovrebbe essere comune a tutti i giornalisti in eventi drammatici.
Un documentario può aiutare le vertenze ambientali?
Il documentario, mettendo in risalto il punto di vista degli attivisti, aiuta a svelare e smascherare dinamiche di potere.
Nella vita di ogni giorno, chi non ha soldi, potere o cariche, non viene ascoltato, ha poco spazio nelle TV, anche se ha ragioni validissime. Questo documentario dà quindi voce agli ultimi, a chi vive nelle case popolari, a chi lotta contro progetti calati dall’alto. Non può certamente risolvere il disastro ambientale ma è un primo passo per far crescere la coscienza ambientale, suscitare indignazione, spingere alla cittadinanza attiva.
Dove si può vedere questo documentario?
Sulla piattaforma indipendente OpenDDB, nonché durante proiezioni pubbliche.
La prima del film è stata ad un anno esatto dall’alluvione, nel parco Don Bosco di Bologna, al termine di una marcia dei comitati ambientalisti contro la cementificazione. C’è stato un bel dibattito suscitato dal film.