Il 24 settembre a Trento è stata inaugurata “SPILLOVER: scenari dall’Antropocene-Mostra liquida #3”, un’esposizione artistica che offre uno sguardo non convenzionale sui cambiamenti climatici e sulle connessioni tra arte e attivismo.
La mostra nasce da una collaborazione inedita tra studentesse e studenti, artiste e artisti, comunità accademica e istituzioni museali ed è promossa dalle associazioni universitarie Unitin, Clima3T e UDU.
L’Università ha accolto positivamente l’idea, in particolare l’iniziativa Officina Espositiva e anche il progetto WE ARE THE FLOOD del Museo delle scienze di Trento (Muse), una rassegna artistica per riflettere sull’Antropocene tramite il linguaggio dell’arte contemporanea.
Dalla collaborazione fra queste diverse entità nasce la mostra SPILLOVER: scenari dall’Antropocene-Mostra liquida#3 che punta a offrire nuovi spunti di riflessione sulla crisi climatica tramite le opere di giovani artisti allestite nella sede di lettere dell’università di Trento, frequentata quotidianamente dalla comunità studentesca.
L’idea iniziale per la creazione della mostra è partita dal basso e in particolare da Clarissa Baglieri, studentessa del Meis (Master in studi europei e internazionali), attiva nelle associazioni studentesche che si è occupata del project management della mostra insieme a Carlo Maiolini.
La mostra è in corso e sarà visibile fino al 6 novembre con un ampio calendario di eventi. L’8 ottobre ci sarà un dibattito sul ruolo dell’intelligenza artificiale nella crisi climatica, il 12 invece si terrà una visita guidata in occasione della giornata del contemporaneo, un'iniziativa del Ministero della Cultura. Infine ci sarà un'altra visita guidata il 22 ottobre e il finissage del 6 novembre a cura di Clima3T si concentrerà sugli intrecci tra arte e attivismo.
Per approfondire le tematiche della mostra abbiamo intervistato Clarissa.
Come nasce l’idea della mostra e che ruolo hanno avuto gli studenti nella progettazione?
L’idea della mostra nasce da una mia passione e da alcune esperienze personali, poiché sia a Ragusa che a Pisa durante la triennale ho partecipato alla creazione di iniziative artistiche nel ruolo di artista amatoriale.
Nel caso di Trento inizialmente mi sono mossa da sola ma poi ho incontrato molte persone disponibili ad ascoltarmi. Facevo parte delle associazioni studentesche Unitin e Clima 3T e ho deciso di proporre un’iniziativa per abbellire e rendere più conviviale il contesto degli spazi universitari.
Nel dipartimento di Lettere mancano degli stimoli e degli spazi per fermarsi a riflettere, soprattutto su un tema importante come l’ambiente e la crisi climatica. Perciò mi sono messa in contatto con alcuni professori universitari e ho conosciuto il progetto WE ARE THE FLOOD del Muse diretto da Stefano Cagol, oltre a incontrare in maniera casuale uno degli artisti che hanno partecipato ad una masterclass di questo progetto.
Per questi motivi ho proposto di creare una mostra e l’Università e il Muse si sono dimostrati disponibili poiché si è presentata come l’occasione per realizzare una partnership date le tendenze e gli interessi comuni.
Inoltre, il professor Denis Viva coordinatore di Officina Espositiva ha coinvolto tre studentesse della magistrale in progettazione museale che hanno fatto un tirocinio partecipando alla realizzazione della mostra. In particolare, Victoria Negro si è occupato della comunicazione e dell’organizzazione, Lisa Maturi della produzione, Ginevra Peruggini della mediazione.
Ho promosso questo progetto per sensibilizzare sul cambiamento climatico introducendo questo tema nella quotidianità degli studenti.
Il progetto si basa sulla “formazione e trasformazione per l’ambiente”. In che modo riesce a far riflettere sulle sfide della sostenibilità?
Il nesso principale della mostra è l’interazione tra scienza e arte per poter sensibilizzare sui cambiamenti climatici. L’arte è vista come un veicolo e un mezzo per creare una prospettiva nuova e differente.
L’intento primario è istituire un’interazione spaziale, uno scambio: la mostra si chiama infatti spillover che si può tradurre come riversamento e si riferisce al propagarsi di varie cose.
Gli studenti vivono tutti i giorni i luoghi dell’università che però sono un po’ impersonali, vedere alcune opere in un contesto familiare può portare gli studenti a riflettere su questi temi. Dalla visione delle opere può nascere lo stimolo per intraprendere alcune piccole azioni per frenare l’impatto della crisi climatica.
Il focus generale delle opere è il rapporto tra uomo e ambiente che si manifesta nelle interazioni tra natura e cultura che non sono separate ma unite da molti legami.
Quali aspetti positivi sono emersi nella collaborazione per questo progetto?
Secondo me questo progetto testimonia la possibilità di collaborare e di costruire qualcosa dal basso, con una sinergia tra vari tipi di istituzioni come il museo, l’università, la comunità studentesca che potrebbe diventare stabile e ampliarsi ad altri ambiti.
Quest’interazione può creare un senso di comunità, di partecipazione alla vita studentesca. Nel caso di Trento abbiamo una mostra sull’ambiente, in altre realtà potrebbe dar vita ad iniziative diverse, l’importante è che si costituisca una dimensione collettiva che coinvolga gli studenti e le studentesse.