Partendo da una semplice domanda, il libro Dove vanno a finire i nostri rifiuti? La scienza di gestire gli scarti a supporto dell’economia circolare, affronta la complessità del ciclo dei rifiuti e della gestione delle discariche.
Scritto dall’ingegnere ambientale Mario Grosso, professore al Politecnico di Milano, questo libro affronta tematiche complesse con un approccio divulgativo e attento a varie questioni, alcune delle quali vengono approfondite in questa intervista.
Ingegner Grosso, in che modo si possono classificare i rifiuti per poi smaltirli efficacemente?
La classificazione si basa sull'approccio del catalogo europeo dei rifiuti, chiamato CER, con una una struttura ad albero con 20 macro capitoli che suddividono i rifiuti. Ogni capitolo poi ha dei sotto capitoli e ognuno di questi organizza specifiche tipologie di materiali.
Quindi la classificazione si basa su questa divisione e su chi ha prodotto il rifiuto, perché se si conosce l’origine di un rifiuto, poi è più semplice classificarlo nelle categorie.
Una metodologia che non può essere esaustiva, nel momento in cui si presenta un nuovo tipo di rifiuto ancora non compreso nel catalogo, a cui viene posto un codice 99, detto ‘jolly’. Perciò questo catalogo deve essere periodicamente rivisto e aggiornato.
Inoltre i rifiuti nella loro totalità possono essere divisi in due famiglie, pericolosi e non pericolosi, da cui deriva poi un diverso tipo di trattamento e specifici accorgimenti durante il trattamento. Quando un rifiuto è pericoloso si aggiunge, dopo il codice a barre di sei cifre del CER, un asterisco finale.
Ovviamente però esistono dei rifiuti che sono al confine tra pericoloso e non: in questo caso, per lo stesso genere di rifiuto, si assegnano due codici, uno con l’asterisco e uno senza. Si chiama codice specchio ed è responsabilità di chi ha prodotto quel tipo di rifiuto fare le analisi caso per caso, lotto per lotto, per dire se è pericoloso o meno.
Quali sono gli aspetti più complessi nella gestione di una discarica?
La discarica è un impianto difficile da gestire. Alcune discariche sono molto vecchie e quindi sono nate con normative precedenti che erano meno stringenti oppure addirittura sono discariche che nascono su vecchi siti dove ancora prima che ci fosse qualsiasi normativa sui rifiuti la gente andava a buttare alla rinfusa il materiale.
Siti idonei, con vecchie discariche presenti, possono in alcuni casi, seguendo le normative aggiornate, ospitarne di nuove. Tuttavia in questi casi diventa difficile bonificare completamente un luogo, i legislatori provano a regolarizzare la discarica ma spesso il suolo rimane contaminato dai rifiuti precedentemente gettati.
Ovviamente quando si costruisce da zero una discarica la situazione è più controllata, si sceglie un sito idoneo con un terreno impermeabile, tipo l’argilla e non un terreno sabbioso o ghiaioso. Poi il terreno si compatta e si predispone per la messa dei teli di protezione per evitare che l’acqua inquinata, chiamata percolato, vada a finire nelle falde acquifere.
Quest’acqua sporca, inquinata perché entrata in contatto con il rifiuto, andrebbe trattata, perciò spesso si realizza un impianto di depurazione, tranne che nelle piccole discariche in cui le autobotti portano via l’acqua.
La seconda importante questione nelle discariche è la produzione del biogas, causata dai rifiuti organici, anche residui, presenti nei siti. Il biogas delle discariche è di qualità peggiore rispetto a quello fatto dai rifiuti organici separati con la raccolta differenziata, perché nelle discariche sono presenti altri materiali.
Il problema sono le emissioni causate dal biogas, che contiene metano e CO2 e spesso sfuggono in atmosfera. È difficile stimare la quota di emissioni fuggitive di una discarica, che sono dei gas serra e hanno impatto sull’atmosfera. Bisognerebbe riuscire a catturare queste emissioni ma, per come sono fatte le discariche, una quota anche piccola sfuggirà sempre e questo è un problema.
I termovalorizzatori sarebbero un metodo efficace per smaltire i rifiuti?
La discussione sull’efficacia dei termovalorizzatori è complicata ma bisognerebbe affrontarla perché coinvolge gli scarti dei rifiuti.
In media, dalla raccolta differenziata si genera il 15%-20% di scarto non riciclabile, poiché per la gran parte abbiamo rifiuti indifferenziati.
A questo punto esistono due alternative: o si mandano questi rifiuti in discarica, oppure si cerca di bruciarli creando energia nella maniera più controllata ed efficiente possibile. La normativa dice che recuperare energia è preferibile rispetto allo smaltimento in discarica.
I termovalorizzatori stanno facendo degli sforzi per ridurre le emissioni inquinanti, i cui livelli si sono molto abbassati negli anni. Un altro tema è il recupero delle scorie, che fino a qualche anno fa andavano in discarica, oggi invece esistono degli impianti che riescono a recuperare materiali riciclabili come metalli preziosi e alluminio.
Un ultimo aspetto è che la produzione di energia dai termovalorizzatori sta aumentando nella sua efficienza. Mesi fa ho visitato il termovalorizzatore di Brescia, che ha investito molto su questo aspetto: il rifiuto bruciato si recupera come elettricità e come calore arrivando ad un’efficienza complessiva di recupero dell’energia del 97%.
Ovviamente questi impianti hanno dei costi elevati, soprattutto per gli investimenti, ma poi creano dei ricavi tramite la produzione d’energia.
Il libro sostiene che esistono tra le cento e le duecento definizioni di economia circolare: come si può riassumere questo concetto?
Lo riassumerei dicendo che il concetto è quello di mantenere i materiali in circolo il più a lungo possibile, introducendo tutta una serie di momenti di ricircolo – chiamiamoli così – lungo la vita dei materiali, che vanno oltre il solo il riciclo.
Quest’ultimo è un po’ l’ultima tappa, ma prima esistono altre possibilità di mantenere in circolo i materiali.
Il principale è consumarne di meno, soprattutto rendendo efficienti i processi di produzione, poi ci sono i passaggi del riutilizzo, della riparazione, facendo in modo che i materiali estratti dall’ambiente siano poi mantenuti in vita a lungo.
Non è facile dare una definizione sintetica di economia circolare, ma questa è quella dalla prospettiva dei materiali e dei rifiuti.