Il Decreto Omnibus rappresenta uno snodo cruciale per il futuro della sostenibilità in Europa.
La Commissione Europea è chiamata a pronunciarsi su questa revisione legislativa, che potrebbe segnare una svolta negativa per il Green Deal europeo, rimettendo in discussione impegni fondamentali come la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).
Il principale rischio è una forte riduzione del numero di aziende coinvolte nella rendicontazione di sostenibilità, compromettendo trasparenza e accountability.
L’Europa è stato il primo continente a porsi l’ambizioso obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050.
Tuttavia, il Decreto Omnibus potrebbe minare questo percorso, soprattutto se la CSRD venisse riallineata alla CSDDD, escludendo dall’obbligo di rendicontazione le aziende con meno di 1.000 dipendenti.
Questo ridurrebbe dell’85% le imprese coinvolte, creando un vuoto normativo che potrebbe indebolire l’intero sistema ESG europeo.
Sessanta multinazionali, tra cui Nestlé, Accor, Decathlon, Ikea e Patagonia, insieme a 200 attori del settore finanziario che gestiscono un patrimonio di 6,6 mila miliardi di euro, hanno chiesto alla Commissione di mantenere invariato il testo.
Anche Spagna e Germania hanno ribadito la necessità di non allentare gli standard di trasparenza. Tuttavia, molte PMI e associazioni di categoria denunciano gli alti costi della rendicontazione ESG, che impone trasformazioni interne complesse e investimenti significativi in competenze e tecnologie.
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Se da un lato la necessità di supportare le imprese è comprensibile, un ridimensionamento della CSRD potrebbe generare un effetto domino negativo.
Chi ha già investito nella sostenibilità si troverebbe penalizzato, mentre chi non ha ancora avviato il processo potrebbe essere incentivato a rimandarlo ulteriormente. Una riduzione degli obblighi rischia inoltre di compromettere la credibilità del sistema ESG europeo.
Le pressioni internazionali rendono il contesto ancora più complesso. Gli Stati Uniti, soprattutto dopo l’insediamento di Donald Trump, minacciano dazi punitivi per contrastare le normative ESG europee, considerate una barriera commerciale.
Nel frattempo, il Commissario Hoekstra (ex ministro delle Finanze olandese con un passato in Shell) ha annunciato un ridimensionamento del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) con esenzioni per l’80% delle imprese UE.
Anche la comunicazione ambientale potrebbe subire un colpo significativo. Se meno imprese fossero coinvolte nella rendicontazione ESG, si perderebbe un'importante leva di sensibilizzazione sulla sostenibilità.
La CSRD non è solo un obbligo normativo, ma un elemento chiave nella narrazione della transizione ecologica. Le aziende più virtuose, che hanno investito nella rendicontazione, rischiano di essere penalizzate rispetto a chi ha evitato di adeguarsi, con conseguenze sulla credibilità del messaggio virtuoso.
In un periodo molto complesso per le vicende europee, il destino del Green Deal appare incerto. Il dibattito attorno al Decreto Omnibus mostra come la sostenibilità non sia solo una questione ambientale, ma anche economica e politica.
La domanda che resta aperta è se l’Europa manterrà la sua leadership o cederà alle pressioni interne ed esterne.
La trasparenza è un valore essenziale per costruire un futuro più equo e sostenibile.
Immagine di copertina ESG360