Era stato presentato il 25 marzo 2015 il ddl S.1845 dal titolo “Norme per la consultazione e la partecipazione in materia di localizzazione e realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche”. Nato per creare una sede di confronto tra cittadini e costruttori di una grande opera, il ddl sembrava destinato a rimanere in quel limbo di proposte all’esame della commissione che non diventeranno mai legge. Ma quando sembrava che nemmeno questa volta il debat public sarebbe stato istituito in Italia, è arrivato l’annuncio della sua introduzione nella riforma del codice degli appalti.
Con il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in attuazione della delega conferita con la legge 28 gennaio 2016, n. 11, il Governo ha riordinato tutta la disciplina degli appalti recependo anche alcune direttive europee. Varato nell’ottica di una maggiore semplificazione e della lotta alla corruzione il decreto sembrerebbe aver assorbito l’indirizzo del precedente disegno di legge per il dibattito pubblico. In particolare l’inserimento di questo dispositivo appare coerente con quanto affermato dalla stessa legge che come primo criterio in materia di “lavori pubblici e di fattibilità tecnica economica del progetto” (art. 23) indica il soddisfacimento dei bisogni della collettività. Così all’art. 22 il novellato codice degli appalti prevede nuove forme di partecipazione. Nello specifico l’art. 1 prevede per le “grandi opere infrastrutturali” la pubblicità degli esiti della consultazione pubblica che dovrà comprendere degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse. La disciplina del dibattito, e le specifiche modalità, sono comunque demandate a un futuro decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (“adottato entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti”). Il futuro decreto dovrà anche fissare i criteri per l’individuazione delle opere cui sarà obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico, e i soggetti chiamati a partecipare.
Come confermato dal relatore del disegno di legge sembra lecito pensare che la prossima disciplina riprenderà le linee guida della disciplina in discussione in commissione: nel ddl le opere soggette a dibattito erano quelle di rilevanza strategica nazionale, le opere pubbliche soggette a via obbligatoria, e le opere che prevedevano una spesa superiore ai 100 milioni di euro e con un bacino di utenza non inferiore ai 250 mila persone. Il precedente disegno prevedeva che la gestione del dibattito venisse affidata a un’apposita Commissione (un’autorità indipendente a composizione mista), ma bisognerà vedere come questa previsione si concilierà con la spending review. Il dibattito veniva previsto principalmente in forma scritta e gli esiti entravano a far parte di un rapporto conclusivo contenente tutte le istanze emerse in fase di dibattito che, redatto dal referente, veniva successivamente approvato dalla Commissione.
Il debat public non risponde solo all’esigenza dei cittadini di essere maggiormente coinvolti nella progettazione del proprio territorio, ma anche alla volontà delle imprese di avere effettive garanzie sulla fattibilità, soprattutto di carattere sociale, dell’opera. Semplificare e facilitare vuol dire anche evitare la nascita di fenomeni c.d. Nimby (“Non Nel Mio Cortile”) e conseguenti ricorsi in sede amministrativa (e non solo); in effetti il debat public, istituito in Francia nel 2005, ha dimostrato di poter portare ad esiti costruttivi. Ma più in generale questo istituto risponde anche alle esigenze di trasparenza, elemento chiave in opere di grande rilevanza. Adesso il Governo avrà tempo fino al 19 aprile 2017 per emanare il decreto attuativo dell’art. 22: il conto alla rovescia è già iniziato…