Pionieristico, coraggioso, a tratti magico, “Il paradiso dei barbari” (“Wind Across the Everglades” regia di Nicholas Ray, 1958), è sicuramente un film atipico per la produzione americana degli anni ’50. Completato da Budd Schulberg, sceneggiatore del film e coproduttore, il film mostra comunque in modo evidente proprio il “tocco” inconfondibile di Ray.
La trama
Fine dell’800: lo sviluppo affaristico della Florida e di Miami è travolgente. Nel pieno di questa trasformazione, la zona umida paludosa -e preziosa per la natura- delle Everglades si trova ad ospitare suo malgrado gruppi di bracconieri che sterminano uccelli di gran pregio per venderne le piume richiestissime dall’industria della moda, in quanto utilizzate copiosamente per i cappelli delle signore.
In questa crudele terra di nessuno arriva l’ecologo Walt Murdock (Christopher Plummer) deciso a rimettere ordine e a far rispettare le leggi conservazioniste e gli uccelli. Il suo antagonista è Cottonmouth (“Caporosso”, nella versione italiana), ossia Burl Ives: corpulento, astuto e risoluto. Capo arcigno di un gruppo di bracconieri che somigliano poi tanto ad una vera ciurma di pirati, con tanto di rifugio in una sorta di taverna. Gente senza scrupoli, avanzi di galera, determinati nel loro distruggere e delinquere, ma comunque dei “ribelli”; che non hanno più niente a che fare con la società se non la condivisione di loschi traffici.
Una storia di outsiders
Nicholas Ray si è già trovato in altre occasioni a raccontare di bande di “outsider”, arrabbiati ed emarginati. Che tagliano i ponti col resto del mondo. Soprattutto in “Gioventù bruciata” con James Dean (1955), in cui affronta la “separazione” dei giovani dalla società. L’interesse per la marginalità, per l’indipendenza è indubbiamente un tratto distintivo del suo cinema da “bastian contrario”; un cinema amato da molti, specialmente dalla Nouvelle vague, e da taluni definito senza alcun dubbio “politico”.
I bracconieri minacciano dunque l’ecosistema, anche se nella palude ogni animale divora altre creature, talvolta con più ferocia di quella dei pallettoni dei fucili. Nonostante distruggano le vite di splendidi uccelli e da questo traggano sostentamento, c’è comunque nei bracconieri -e soprattutto in Cottonmouth, loro capo- la consapevolezza quasi innata che ci si può sì sottrarre alle leggi degli uomini, ma non a quelle della natura, davanti alla cui forza “morale” non si può alla lunga farla franca. Sono “ribelli” incalliti, perennemente consci ad ogni modo del ciclo alimentare (e consustanziale) che unisce i predatori alle prede. Scelgono di essere predatori, ma l’immanenza prepara loro anche il destino esattamente opposto di prede. Lo sanno bene, e non lo dimenticano mai.
Murdock è deciso a fermare i bracconieri e lo sterminio degli uccelli in ogni modo. Anche a rischio della propria vita. Ma è anche profondamente, e soprattutto, spaventato dal progresso insensato, senza volto, cui sta andando incontro la società: allo stesso tempo si rende conto di essere attratto dalla natura, dalla sua abbagliante bellezza che lo rapisce. In questo, in modo assai paradossale, più di qualche affinità lo lega ai cacciatori di frodo, spietati, distruttivi, ma ancora con dei rudimenti etici; molti di più di quanti ne dispongano i cinici mercanti di piumaggi dell’industria. Sono anarchici, ribelli, disumani, ma vivono “nella” natura, e pagano in prima persona per la vita che fanno.
Considerazioni e umanità a parte, Murdock e Cottonmouth sono comunque totalmente nemici e pertanto destinati a scontrarsi. Lo faranno, mettendo in campo ognuno astuzia e ogni psicologia, in un confronto mortale nel quale ognuno pensa, a torto o a ragione, di interpretare la vera anima pulsante della palude. E’ un “duello” ancestrale che rimanda alle leggi della sopravvivenza, e che vede Murdock vincitore: gli uccelli sono salvi; la Natura segna un punto a suo vantaggio, nella Florida delle Everglades. Ma, ovvio, dovrà incassare nuovi colpi. Già si avverte l’aria di nuove minacce a quella quiete eterna e possente, nelle ultime immagini del film…
L’ecologia come critica nei film di Ray
Abituato al CinemaScope, qui Ray, con meno mezzi a disposizione, riesce comunque a filmare le meraviglie delle Everglades con una avvincente fotografia; talvolta da documentario. “Il paradiso dei barbari” vanta immagini memorabili e il marchio di fabbrica, mai banale, di Nicholas Ray.
Licenziato dalla produzione a film quasi concluso, l’ “irregolare” Ray, carattere difficile, provato anche dalla droga e dall’alcool, dimostra ancora una volta, sorprendentemente, di essere molto più avanti di tanti suoi colleghi dello show business “ufficiale”, affrontando l’ecologia come critica sociale (e con più di una punta di pessimismo) ben prima che diventasse un argomento popolare, prima ancora che Rachel Carlson avesse dato il via al movimento ambientalista moderno.