È passato più di un mese dal terribile incidente occorso in occasione dell’Earth Day alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della Transocean Ltd, gestita dalla compagnia British Petroleum e dislocata nel Golfo del Messico: una chiazza di petrolio estesa ben oltre i 160 km di fronte per 70 di ampiezza sta inghiottendo lentamente le Isole di Chandeleur, paradiso ambientale al largo della Louisiana, e non solo.
La preoccupazione per le conseguenze del disastro sta crescendo progressivamente e, oltre all’eccidio di animali, alle vittime umane e all’inquinamento marino e dell’aria, anche le coste limitrofe stanno pagando gravemente le conseguenze dell’ampliarsi della macchia.
Nella tragedia, il dato positivo è che se ne parla molto e che la popolazione mondiale è costantemente informata, attraverso telegiornali e bollettini, sulle attività di contenimento, per ora inutili: se il greggio sarà sospinto nelle paludi della Louisiana, ripulirlo sarà praticamente impossibile causando un disastro incalcolabile per le riserve naturali che l’umanità deve assolutamente conoscere. Certo è che se la Deepwater Horizon fosse esplosa nel Delta nel Niger, invece che al largo della costa della Lousiana, le potenze politiche ed economiche si sarebbero preoccupate assai meno: «Incidenti come quello da noi – ha detto al Guardian lo scrittore di etnia Ogoni Ben Ikari – accadono ogni giorno, la differenza è che nessuno ne parla».
Intanto la British Petroleum ha chiesto ufficialmente scusa per l’accaduto: attraverso un video l’amministratore delegato Tony Hayward ha chiesto perdono al mondo intero per il disastro ambientale nel Golfo del Messico e assicura che la BP si prenderà tutte le responsabilità, ripulendo anche il mare.
In ogni caso anche la popolazione civile non resta inerme a guardare: due cooperative di pescatori di gamberetti della Louisiana hanno intrapreso una class action contro i gestori della piattaforma petrolifera e hanno chiesto danni per almeno 5 miliardi di dollari.
A Grand Isle invece si è tenuto un simbolico Memorial Day per ricordare non tanto le vittime militari, ma le vittime di questo epocale disastro ambientale. Centouno croci bianche sono state alzate sulla spiaggia, segnate dai nomi delle specie uccise dal petrolio e dalle stesse attività che quelle spiagge non potranno più ospitare: delfini, trote, ostriche così come passeggiate, partite di volley e molto altro. «Vogliamo inviare un preciso messaggio – ha dichiarato Patrick Shay, 43 anni e proprietario di un ristorante locale – per spiegare che ci hanno impedito completamente di vivere e di usare il nostro mondo e le nostre risorse. È scomparso tutto. Ci hanno abbandonati».
Intanto, ogni ora, 33 mila galloni di petrolio si riversano nell’oceano, inquinando ulteriormente le spiagge e le acque del Golfo, oltre che bloccando inesorabilmente tutte le attività sulla costa.
«Se la British Petroleum non ci darà i soldi per risarcire le nostre perdite – spiega Jim King, 63 anni, storico proprietario di un campeggio e di un noleggio di kayak per la zona – ci saranno rivolte nelle strade: il turismo, il mercato immobiliare, la pesca, tutto è stato inesorabilmente arrestato e non sappiamo se mai ritornerà a funzionare. Non siamo venali, sappiamo bene che il danno ecologico è ancora più grave, ma stanno mettendo a repentaglio anche la nostra esistenza con i loro calcoli economici».
Anche lo stato della Florida ha vietato la pesca e sta soffrendo un ingente danno al mercato turistico locale, dato che tutte le zone colpite vivono grazie ai milioni di persone che ogni anno si recano in vacanza su quelle spiagge.
E chi non è stato direttamente colpito, ma conosce il pericolo che aleggia sulle piattaforme, comincia a preoccuparsi: anche se in Italia non se ne è parlato molto, una decina di piattaforme petrolifere sono in uso a poche miglia dalle nostre coste. Per ora il Ministero dello Sviluppo Economico ha disposto controlli urgenti e ha sospeso tutte le nuove autorizzazioni alle trivellazioni in acque italiane. Gli interessi dei colossi petroliferi sono molti specie nel Sud Italia: in Sicilia ad esempio l’interesse di Shell per il possibile nuovo giacimento petrolifero al largo delle isole Egadi (dove potrebbe trovarsi il più grande giacimento italiano) si unisce a quello per il rigassificatore che dovrebbe essere costruito nella zona industriale di Siracusa. Nell’arcipelago però si trova la Riserva marina delle Egadi, una delle più grandi d’Europa, con un patrimonio naturalistico unico.
Ci insegnerà qualcosa Deepwater Horizon?