Il mais è una pianta ad alto valore strategico e politico: è fatta di mais la carne che mangiamo, è fatto di mais il latte, il formaggio, lo zucchero nelle merendine, salse e bevande, è fatto di mais l’involucro dei cibi e i piattini compostabili, è fatta di mais la borsa in cui trasportiamo il cibo, è fatto con il mais il biogas che bruciamo.
Il mais è insomma diventata una delle più importanti merci di scambio dell’agroindustria. Il mercato globale richiede grandi quantità di granella di mais, per mille scopi diversi, con caratteri standardizzati e a prezzi competitivi che gli agricoltori subiscono. Poche multinazionali gestiscono il mais di tutto il mondo sfruttando pochissime varietà, per lo più ibride e transgeniche.
Per questo Slow Food Italia ha dato vita alla campagna Slow Mays: per valorizzare e supportare le piccole comunità del cibo italiane che continuano a produrre e trasformare mais tradizionali legati alla propria cultura alimentare. Ma anche per comunicare e raccontare “la rete dei custodi di mais locali a impollinazione libera, ovvero di quei mais la cui selezione e trasformazione delle sementi avviene in modo naturale, nei campi” spiega Slow Food Italia nel proprio manifesto.
Fanno parte della rete di Slow Mays 36 varietà in Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche, Lazio e Abruzzo, e sono coinvolti oltre 160 produttori.
Per aderire a Slow Mays è sufficiente compilare il questionario da spedire all’indirizzo indicato all’interno.