Le Tartarughe marine sono tra le specie a rischio del nostro Mediterraneo. Purtroppo, spesso non si ha contezza di quanti e quali siano i rischi per loro. Ma ancor meno, probabilmente, è la consapevolezza di ciò che si sta facendo per salvaguardarle. Ecco perché oggi vi raccontiamo di Tartalife, intervistando il Dott. Alessandro Lucchetti, responsabile del progetto.
Il nome “Tartalife” già indica che l’obiettivo principale del progetto è salvaguardare le tartarughe (marine). Nel Mediterraneo quindi vi è un problema legato alla tutela di questi animali? Quali sono i principali fattori di rischio? Si hanno dei numeri?
Negli ultimi anni la conservazione di Caretta caretta, specie prioritaria inserita nella Direttiva Habitat e protetta da numerose Convenzioni internazionali, ha assunto un aspetto strategico per il bacino Mediterraneo dove la pesca professionale rappresenta la principale minaccia per la sopravvivenza di questi animali. Le catture degli individui di tartaruga marina ricollegabili alla pesca professionale avvengono in via del tutto accidentale poiché l’intenzione degli operatori ittici è quella di catturare altre specie di interesse commerciale. Tre sono i sistemi di pesca con maggiore impatto: le reti a strascico, le reti da posta e i palangari.
Secondo le stime elaborate nel corso degli ultimi anni, nel Mediterraneo avvengono circa 130-150.000 catture l’anno che causano le morti di circa 40.000 esemplari. In particolare, nei soli mari italiani, si stima che avvengano 40/50.000 episodi di cattura annui con la possibilità di 10.000 decessi. Fra le altre minacce bisogna annoverare i vari residui antropici – primi fra tutti quelli di composizione plastica – che ormai invadono il mare. Nei centri TartaLife oltre l’80 % delle tartarughe curate ha espulso residui di plastica. Le tartarughe, infatti, possono confondere pezzi di plastica e buste con possibile fonte di cibo. Altri rischi sono rappresentati dalla degradazione dei siti di nidificazione, dalla presenza di turisti o di luci costiere che possono spaventare le tartarughe scoraggiandone l’avvicinamento alle spiagge nel periodo della deposizione delle uova. Un’altra minaccia è rappresentata dall’intenso traffico marittimo, soprattutto in estate, che espone le tartarughe a collisioni con le imbarcazioni e soprattutto con le eliche dei natanti con esiti spesso mortali.
Tra i rischi maggiori per le tartarughe vi è la pesca. Contrariamente a quanto si possa pensare, non è necessario bandire la pesca ma è possibile adottare sistemi “tartafriendly”. È corretto? Cosa si può fare?
La pesca accidentale rappresenta la principale minaccia per le tartarughe marine, in aggiunta ad altri fattori di origine antropica. La pesca è, però, un’attività essenziale dal punto di vista economico e sociale. Tutte le esperienze di conservazione in questo settore che si sono basate su chiusure e divieti non hanno mai avuto esiti positivi. È per questo motivo che la conservazione di questa specie e dei servizi ecosistemici ad essa connessi non può prescindere dall’esperienza dei pescatori, dalla comunicazione e dall’interazione con gli operatori del settore e dall’attività di ricerca volta allo studio di sistemi di mitigazione da diffondere nelle varie tipologie di pesca. Allo stesso tempo, è necessario un costante monitoraggio sia delle aree sfruttate dalla pesca professionale che delle aree popolate dalle tartarughe, in modo da identificare le zone ad elevata interazione pesca-tartarughe marine (hot spots).
Innanzitutto, vanno identificate le aree a rischio elevato di bycatch individuando gli attrezzi più impattanti in quelle aree. Nell’ambito del progetto TartaLife sono state realizzate stime di catture accidentali di tartarughe marine nei mari italiani basandosi sull’esperienza diretta dei pescatori: tramite un questionario di venti domande sulla tematica dell’interazione pesca-tartaruga marina sono state realizzate circa 500 interviste in più di 100 marinerie italiane distribuite in tutte le regioni che si affacciano sul mare.
Una volta individuate le aree nonché i periodi di eventuale interazione della pesca professionale con le tartarughe, ai pescatori italiani sono stati forniti particolari sistemi di mitigazione (BRD, bycatch reducer device) diversificati per le varie tipologie di pesca. In particolare, nella pesca con i palangari destinati alla cattura del pesce spada, sono stati utilizzati gli ami circolari (circle hooks) in sostituzione di quelli tradizionali (ami a “J”), con lo scopo di ridurre la possibilità che gli ami stessi vengano ingoiati. Nella pesca a strascico è stata utilizzata una particolare griglia di esclusione, chiamata TED (Turtle Excluder Device; prototipo FLEXGRID), realizzata con una lega di materiale plastico ad alta resistenza ma, allo stesso tempo, flessibile in modo da evitare la cattura della tartaruga nel sacco della rete. Nel caso della pesca con reti da posta, sono stati utilizzati deterrenti visivi che consentono di illuminare con raggi ultravioletti (LED-UV) le reti che diventano più visibili dalle tartarughe e attrezzi alternativi rappresentati da particolari nasse pieghevoli, per evitare la cattura di tartarughe.
L’utilizzo di tali attrezzature ha avuto esiti decisamente positivi: le catture accidentali delle tartarughe sono azzerate senza compromettere l’attività commerciale del settore ittico
Come avviene la formazione dei pescatori? Con quali strumenti di comunicazione?
Nell’ambito del progetto TartaLife l’opera di sensibilizzazione e coinvolgimento è avvenuta attraverso un fitto programma di Infoday e seminari formativi per i pescatori. Gli Infoday sono stati realizzati lungo le coste italiane nelle principali marinerie per far conoscere gli obiettivi del progetto TartaLife ai pescatori italiani (oltre 500 pescatori coinvolti), con lo scopo di intraprendere un percorso di collaborazione. Per promuovere i vari eventi sono stati prodotti diversi gadget: 1000 T-shirt, 1000 cappellini, 500 bandiere, 500 coltellini, 1000 adesivi e 1000 copie dell’opuscolo informativo dal titolo “I pescatori a difesa delle tartarughe marine del Mediterraneo”.
I seminari formativi per i pescatori sono stati realizzati con diverse sessioni di training sui dispositivi di mitigazione (palangari e strascico) e sulle procedure da attuare in caso di cattura accidentale. Per promuovere i vari eventi sono stati prodotti 180 kit di primo intervento che sono stati poi forniti ai pescatori e sono costituiti da un cuscino in poliuretano idrorepellente “arrotolabile”, un telo in microfibra e un guadino.
La formazione si è poi sviluppata “sul campo” attraverso uscite in mare con i nuovi dispositivi di mitigazione. Una volta coinvolti, gli stessi pescatori sono diventati testimonial con i loro colleghi delle attività apprese.
Dopo 5 anni, possiamo dire che il progetto e le sue finalità sono conosciute praticamente ovunque e che c’è una consapevolezza maggiore da parte dei pescatori tanto che molti ora collaborano conferendo volontariamente ai nostri centri le tartarughe catturate.
Avete dei canali di comunicazione rivolti a tutti, non solo ad addetti ai lavori: sito internet, pagina social. È importante divulgare progetti come Tartalife alla gente comune? Perché?
Le attività di sensibilizzazione sono state rivolte anche ai turisti e alle scolaresche: l’obiettivo di divulgare la conoscenza delle finalità del progetto e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle misure di protezione delle tartarughe marine si è poi tradotto nella realizzazione di materiale informativo e promozionale, nell’elaborazione di un programma giornaliero di visite guidate Tartaworld presso i CRTM, nella programmazione di un evento annuale nazionale dedicato al mondo delle tartarughe marine (Tartaday), nella promozione di attività educative per le scuole elementari e medie della Regione Sicilia e Marche (SCOPRITARTA), nella realizzazione di una App multi piattaforma (TartApp) e nell’allestimento di una sala espositiva di progetto presso l’acquario di Cattolica.
Le attività di media relation e divulgazione si sono concretizzate nella redazione di numerosi comunicati stampa ripresi da varie agenzie online e off line e nella partecipazione a programmi televisivi e radiofonici tra i quali Linea Blu, Geo & Geo, Tg2, TgR Mediterraneo, L’arca di Noè Tg5, Tg3 Marche, Associated Press e Class TV (i video sono visibili sul canale YouTube di progetto).
Il sito web ha registrato 100000 visualizzazioni di pagina (fonte: Google Analytics) mentre la pagina facebook del progetto – aggiornata quotidianamente con tutte le attività, foto, video e tanto altro – può vantare 3500 followers, in costante crescita.
Per quanto riguarda gli aspetti scientifici del progetto sono stati pubblicati diversi articoli su riviste scientifiche internazionali (Ecological Indicators, Aquatic Living Resources, PeerJ, Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems, Fisheries Research, The Herpetological Journal e Frontiers in Marine Science), due articoli sulla rivista divulgativa il Pesce e un capitolo sul libro “Sea Turtles: Biology, Behaviour and Conservation”). I vari partner sono stati inoltre ospiti di numerosi eventi nazionali e internazionali tra i quali spicca l’ISTS Symposium (2017) di Las Vegas.
Di Letizia Palmisano giornalista ambientale