”Per far fronte alle sfide del XXI secolo abbiamo bisogno di politiche più integrate e più trasparenti. Per poter elaborare queste politiche abbiamo bisogno di valutare meglio dove siamo, dove vogliamo andare e come possiamo arrivarci. Per cambiare il mondo, dobbiamo cambiare la nostra maniera di concepirlo e per questo bisogna andare oltre il Pil.”
Prendiamo spunto da quanto dichiarato da Stavros Dimas, commissario europeo per l’Ambiente, nell’annunciare che entro il 2010 la Commissione presenterà una versione pilota di un indice ambientale globale.
“Il Pil – ha spiegato infatti il commissario – non e’ stato concepito per essere uno strumento di misura del benessere e in quanto tale non tiene conto di talune questioni di importanza vitale per la qualita’ della nostra vita, quali un ambiente sano, la coesione sociale o la misura della felicita’ individuale”. La questione era sul tavolo degli economisti e oggetto di discussione pubblica ormai da tempo, ma la recente congiuntura economica e l’innegabile tendenza verso una società a basso impatto ambientale, hanno finalmente traghettato la Commissione verso questa importante decisione.
Il Prodotto Interno Lordo, quale misuratore della ricchezza di un paese, è la sommatoria di tutta la produzione di beni e servizi di una comunità, senza distinguere il ruolo che tali beni e servizi hanno per il benessere reale. Ed ecco che stanziamenti straordinari e cataclismi naturali (come nel recente caso dell’uragano Katrina), produzione di armi e servizi sanitari, produzione di energia da fonti fossili e rinnovabili, bonifiche di siti inquinati e raccolta differenziata vengono calcolate in un unico indice.
A simili conclusioni è pervenuta anche un’altra commissione presieduta da Joseph Stiglitz con la collaborazione di Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, voluta da Nicolas Sarkosy ed i cui risultati verranno presentati oggi all’Eliseo. In particolare, la commissione si sofferma sul concetto di sviluppo sostenibile e la sua incidenza sulle prestazioni di una comunità. Data per buona la definizione che nel 1987 ne dava il rapporto Burtland – lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni – la commissione suggerisce di trovare degli indicatori che misurino il capitale umano e fisico, supponendo che uno sviluppo sostenibile è quello che fa aumentare tale capitale, preservando le future generazioni. E’ in quest’ottica che le parole di Dimas – per cambiare il mondo, dobbiamo cambiare la nostra maniera di concepirlo – acquistano particolare valore. Nel momento in cui si include un indice ambientale come riferimento al benessere di una comunità, non più soltanto sul piano etico, ma anche su quello economico, sono due i concetti che mutano di significato:
La salvaguardia ambientale – non più percepita solo come qualcosa da difendere tout court, ma come “patrimonio” da preservare, misurandone l’impatto sulla vita di una comunità.
Il danno ambientale – non più percepito come reato una tantum, ma come reato in divenire, misurandone gli effetti nel medio e lungo periodo.
Nel guidare questa transizione di senso è evidente il ruolo che la comunicazione ambientale ha svolto e può svolgere, verso una nuova concezione diffusa di ambiente come “patrimonio”.
Come conseguenza di tale rivoluzione essa sempre di più ricoprirà il ruolo professionalizzante che le compete, verso le comunità, i mercati e quelle strutture di governo, troppo spesso deficitarie in tale ambito. Alla creazione di un lessico comune, non più ad appannaggio esclusivo di gruppi di interesse particolari, ma diffuso.