Anche se inspiegabilmente tenuta al riparo dal palcoscenico mediatico, un’altra costa è stata rovinosamente e irrimediabilmente imbrattata da oli combustibili. Questa volta è toccato alla Sardegna, nei 18 km di spiaggia che vanno da Fiume Santo a Marritza. In zone meravigliose e attrazione per migliaia di turisti, l’11 gennaio scorso, si stima siano stati riversati circa 18.000 litri di petrolio dalla nave cisterna Esmeralda durante un’operazione di alimentazione delle centrali elettriche gestite dalla multinazionale tedesca E.On. La notizia da prima pagina è invece passata in sordina ma gli abitanti di quelle zone non ci stanno. L’ultima eclatante iniziativa di una campagna di controinformazione partita dal basso, e intrapresa dopo la raccolta firme, la costituzione di vari comitati e la volontà di rendersi partecipi alla pulizia, è stata «Black fish a Platamona Beach».Realizzata dagli artisti dell’ex-Q e dal circolo di Rifondazione Comunista Utalabì, è stata messa in atto domenica 16, costruendo sull’arenile deturpato (Terzo Pettine di Platamona) una balena. La sagoma del cetaceo agonizzante è stata realizzata con numerosi sacchetti di plastica contenenti il materiale inquinante approdato sul litorale e ha voluto esternare in modo spettacolare e appetibile ai media il disappunto e la protesta.
«Abbiamo voluto esprimere così la nostra rabbia – hanno spiegato gli organizzatori alla Nuova Sardegna – contro questo danno ecologico… La balena non è solo il simbolo dei pesci spazzati via dalla marea nera, ma più in generale di un intero ecosistema gravemente compromesso da una ingiustificabile negligenza della multinazionale E.On».
L’azione è stata preceduta da un’altra inconsueta manifestazione. La scorsa settimana, infatti, per mano sempre degli artisti dell’ex-Q, per le vie di Sassari sono stati affissi dei pesci neri di cartone, simbolo della moria di pesci e segnale di presenza dei cittadini sardi.
Intanto, dai vari incontri che si stanno susseguendo e dai numerosi comitati costituitesi, l’impressione è che tutto confluirà in un unico gruppo che si costituirà parte civile nel processo contro i responsabili del disastro ambientale.
Ma il copione è sempre lo stesso. Come è successo per il Golfo del Messico, la compagnia colpevole si dice tranquilla, minimizza sulla dimensione e sulla gravità del disastro, fa dichiarazioni di circostanza, cerca d rimediare mandano addetti delle pulizie sulle battigie ormai compromesse. La grande differenza è che negli Stati Uniti il governo si è mosso immediatamente e ha mantenuto una linea dura nei confronti della British Petroleum mentre in Italia tutto tace.
Mentre, l’«imprevedibile guasto meccanico nella linea di drenaggio del collettore manichette posizionato all’interno della banchina», per usare le parole di E. On, si sta estendendo al Golfo dell’Asinara, i comitati promettono di seguire e documentare la vicenda, soprattutto coinvolgendo la gente, nella complicità e nell’indifferenza delle istituzioni e dei media italiani, aggiungiamo noi con rammarico.
Come contrastare il silenzio dei media sul disastro di porto torres??
http://www.youtube.com/user/aprux75?feature=mhum
FATELO GIRARE
oh mare nero, oh mare nero, o mare ne