La recente decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità di uno degli otto quesiti referendari proposti dai movimenti “no triv”, porta nuovamente all’attenzione mediatica nazionale. Il disegno di legge si propone di instaurare anche in Italia uno strumento teso a favorire un confronto anticipato, rispetto alla sede propria dei procedimenti autorizzativi, fra chi intenda realizzare infrastrutture o opere pubbliche di significativo impatto ambientale, economico o sociale, e i potenziali controinteressati (come popolazioni locali e portatori di interessi diffusi). Se il disegno diventasse legge troverebbe spazio anche in Italia quello che in Francia esiste da anni: il debat public. Del resto già la Convenzione di Aarhus (datata 1998) riconosceva la partecipazione come elemento cardine per una corretta politica ambientale, ma da allora (salvo limitate eccezione), la partecipazione in materia ambientale è rimasta solo su carta, non essendo stata prevista una disciplina che ne favorisse l’applicazione.
Il debat public ha dimostrato, laddove è stato utilizzato, di essere un solido strumento di comunicazione per superare momenti di conflitto tra le parti, diventando il luogo istituzionale ideale per il confronto e conducendo ad esiti costruttivi. È evidente che sia le imprese che i cittadini hanno interesse affinché un tale strumento venga previsto. Da un lato l’investitore ha l’opportunità di vagliare la sostenibilità sociale dell’opera, dall’altro i cittadini oltre ad avere la possibilità di intervento sul progetto trovano finalmente un riconoscimento istituzionale nello scacchiere decisionale. In tal modo anche il dissenso viene incardinato in un meccanismo del quale, nel bene e nel male, gli attori in gioco dovranno rispettare le regole, e i cui benefici in termini di trasparenza, democraticità e corresponsabilità nelle politiche ambientale risultano palesi.
Il disegno di legge prevede che il dibattito venga attivato solo per opere di rilevanza strategica nazionale (previste dall’art. 161 comma 2 del codice degli appalti), per opere pubbliche che prevedono la via obbligatoria, o per quelle opere che prevedono un valore di investimento pari o superiore ai 100 milioni di euro e che riguardano un bacino di utenza non inferiore a 250 mila abitanti. La gestione del dibattito, la cui disciplina è oggetto del disegno di legge, sarà affidata a un’apposita Commissione (un’autorità indipendente composta da 7 membri nominati dal Presidente del Consiglio su proposta, e a rappresentanza, dei vari poteri coinvolti: Ministero dell’ambiente, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture, ma anche su proposta della Conferenza unificata, e su proposta delle associazioni di cui all’art.13 della l. 349 dell’86). La procedura prevista dal disegno di legge prevede che sei mesi prima dalla presentazione della domanda di autorizzazione il proponente trasmetta una comunicazione con gli obiettivi e le caratteristiche dell’opera alla Commissione nazionale. La commissione è così chiamata a stabilire l’attivazione o meno di un processo partecipativo e di dettarne i tempi, le modalità ed il referente. Una volta avvenuto il dibattito, previsto principalmente in forma scritta, il referente redige un rapporto conclusivo contenente tutte le istanze emerse in fase di dibattito, che viene successivamente approvato dalla Commissione.
In una fase così embrionale del disegno di legge non è facile tracciare un bilancio del dispositivo ivi previsto. Di certo i punti interrogativi non mancano, in particolare destano perplessità le soglie di intervento (che appaiono eccessivamente alte), la natura prevalentemente scritta del dibattito pubblico, i soggetti legittimati a partecipare, ma anche la formazione della commissione (che è completamente differente da quella, ad esempio, francese). Tuttavia non si può non accogliere con un plauso questa iniziativa: non solo per l’evidente bisogno di uno strumento partecipativo su grandi progetti, ma anche e soprattutto perché ha il merito di rilanciare a livello nazionale il tema della partecipazione in materia ambientale. In particolare la grande speranza è che la costituzione di un’autorità indipendente impegnata esclusivamente nei processi partecipativi possa creare, come avvenuto nell’esempio della Regione Toscana, un centro di sostegno, tecnico e politico, ai processi partecipativi in materia ambientale.