Torino e l’accoglienza: una storia di successo *

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Se chiedi a un torinese quale sia il luogo multietnico per eccellenza della sua città, puoi stare certo che risponderà: il mercato di Porta Palazzo! «Porta Palazzo è profumo di frutta e verdura, colori vivaci, vociare straniero mescolato agli svariati dialetti italiani, contatto con popoli lontani. A Porta Palazzo vivono, si incontrano e si scontrano l’Europa, l’Africa e l’Asia»[1]. L’Antica Tettoia dell’Orologio ne è il simbolo, e ancora più simboliche sono le scritte “amare le differenze” in tante lingue diverse che campeggiano sulla facciata.

Ce ne accorgiamo passeggiando per le vie di ogni quartiere, Torino è sempre più bella e multietnica e nei giorni dell’evento (Salone del Gusto-Terra Madre, N.d.R.) lo sarà ancor di più, grazie all’arrivo di produttori da ogni angolo del globo che arricchiranno la multiculturalità della città. Negli ultimi anni Torino, come altre città italiane, ha accolto molti profughi con lo status di titolari di protezione internazionale, fornendo loro vitto e alloggio ma anche supporto nell’inserimento socio-economico, nell’ambito dei percorsi di accoglienza Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Anche se possono sembrare freddi, sotto la scorza dura di “falsi e cortesi” (come dice il proverbio), i piemontesi sono un popolo accogliente, e anche gli altissimi numeri dell’ospitalità di Terra Madre Salone del Gusto lo confermano (ne abbiamo parlato qui).

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L’esperienza, però, insegna che l’assistenzialismo da solo non basta, per una vera integrazione è meglio aggiungere una parte di coinvolgimento attivo e responsabilità da parte di chi viene ospitato. Dallo scorso aprile, grazie a un protocollo d’intesa fra la Città di Torino e Amiat, società del gruppo Iren, Official Partner dell’evento, profughi e rifugiati hanno la possibilità di ringraziare la città per la sua ospitalità con azioni utili per tutta la popolazione: muniti di ramazza e buona volontà, una mattina a settimana collaborano nella pulizia urbana, ripulendo strade e aree verdi da foglie e rifiuti sparsi. Torinesi, magari li avete visti in giro, indossavano una pettorina gialla con scritto «Grazie Torino»! «È stata una forma di restituzione e contributo alla vita della città che li accoglie e che corrisponde alle aspettative dei cittadini: i numeri e la voglia di partecipare sono un ottimo segnale» ha commentato l’ex sindaco Piero Fassino, approvando l’iniziativa, del tutto volontaria e gratuita.

Ma la ramazza non basta, lo smaltimento dei rifiuti è un altro capitolo importante nel mantenimento della città, che passa in gran parte attraverso l’informazione dei cittadini. Con 130.000 stranieri regolari residenti, Amiat, l’azienda che si occupa dello smaltimento dei rifiuti e Partner Systemic Event Design di Terra Madre Salone del Gusto, ha capito che l’informazione sulla raccolta differenziata non poteva essere solo in italiano e ha distribuito degli opuscoli informativi in sette lingue (fra cui rumeno, arabo e cinese).

Abbattuta la barriera della lingua, restava quella culturale: la campagna di sensibilizzazione su questo tema è stata portata avanti anche con incontri nelle comunità, un compito non semplice, considerata la differenza di approccio necessaria. In alcune comunità, infatti, sono madri, nonne e zie a occuparsi dello smaltimento dei rifiuti, mentre in altre i ruoli sono condivisi. Per non parlare delle difficoltà meno evidenti: alla Crocetta, per esempio, le informazioni devono essere veicolate per lo più in spagnolo, data l’elevata percentuale di colf peruviane.

Anche in carcere Amiat ha deciso di incentivare la raccolta differenziata: in collaborazione con la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” è nato il progetto Cella a Cella, che fa sì che i detenuti dividano le bottigliette di plastica dagli avanzi di cibo direttamente nella loro cella invece che in aree comuni. Alcuni detenuti sono anche incaricati della successiva attività di raccolta dei rifiuti cella per cella e del loro conferimento nei punti di ritiro.

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Lo scorso agosto, inoltre, ha avuto luogo, presso la struttura di accoglienza profughi di Torino gestita dalla Cooperativa sociale Carapace, un incontro di educazione ambientale rivolto ai giovani ospiti della comunità, che hanno tra i 18 e i 30 anni e provengono principalmente da Eritrea e Nigeria: insegnare come fare una corretta raccolta differenziata è solo uno dei passi da fare per agevolare l’integrazione sociale dei rifugiati nella comunità di Cavoretto.

Insomma, che nessuno rimanga escluso, anche le fasce sociali più deboli devono poter fare la loro parte per il benessere dell’intera città: una filosofia che si sposa perfettamente con quella di Slow Food, le cui comunità sparse in tutto il mondo si prendono cura del nostro pianeta. Accogliamole a Terra Madre Salone del Gusto: quanto si impara dallo scambio!

 

Francesca Monticone
f.monticone@slowfood.it

 

[1] Fiorenzo Oliva, Il mondo in una piazza. Diario di un anno tra 55 etnie, Stampa Alternativa, 2009

 

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