Sto rientrando in Italia dopo una settimana di incontri con i cittadini e gli stakeholders nella Striscia di Gaza. Questa è la seconda fase del progetto voluto da AICS (Associazione Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo) in collaborazione con l’Agenzia ONU per i rifugiati Palestinesi (UNRWA) per la definizione di una strategia per la gestione dei rifiuti negli 8 campi profughi della Striscia di Gaza. Prima conoscere, poi dialogare, poi costruire qualche cosa che possa essere coerente con la realtà, accettato e soprattutto portato avanti con i pochissimi mezzi disponibili in loco.
Oggi la situazione è critica: le 3 discariche ufficiali sono quasi esaurite, i Comuni non hanno i soldi per pagare lo smaltimento, ma neppure per trasportare i rifiuti fino alle discariche con i camion (consideriamo che si tratta in media sempre di meno di 10 km) e allora nascono accumuli abusivi un po’ ovunque ai bordi delle città. Accumuli di sacchi che occupano terreni e che contribuiscono a inquinare ulteriormente le falde acquifere.
Abbiamo incontrato politici e amministratori di tre Comuni, i referenti istituzionali per la protezione dell’Ambiente e per la pianificazione delle acque e visitato i campi profughi dialogando con le famiglie. Abbiamo visitato vivai e aziende che riciclano il cartone per produrre imballi per le uova e il PET per fare oggetti in plastica. Il tutto per capire se qualche forma di Economia Circolare qui è possibile, ma soprattutto per sentire che cosa la gente pensa, quale è la percezione del problema. Perché coinvolgere i cittadini significa prima di tutto ascoltarli, comprendere le difficoltà, conoscere il contesto e questo è imprescindibile in ogni strategia di comunicazione locale.
La sensazione forte e forse non troppo razionale è che a Gaza ci sia un terreno fertile per cambiare le abitudini, per introdurre nuovi comportamenti e nuove abitudini nella gestione dei rifiuti, iniziando da azioni semplici e dalla valorizzazione delle competenze sia di UNRWA e dei suoi operai che ogni giorno puliscono le strade e raccolgono i rifiuti con i carri e gli asini, sia di coloro che possono creare e sviluppare nuovi lavori, come le piccole aziende che già oggi riciclano e quelle agricole che possono beneficiare di nuovi input interni per le loro produzioni (compost, materie prime seconde).
Perché in fondo l’economia circolare in una situazione di blocco è più comprensibile e valorizzare i rifiuti consente di essere un pochino, fore solo un pochissimo più resilienti e di dare fiducia e speranza in un futuro anche solo a qualcuno. Perché qui credere in un sogno o in un progetto è ancora più importante, e soprattutto credere in qualche cosa di concreto, possibile e fattibile a Gaza.