Aprendo un vocabolario alla voce “emergenza”, ci troveremmo di fronte alla definizione di “fatto inatteso, imprevisto”. Potremmo partire da qui per riflettere sull’uso fuorviante di questa parola che la comunicazione (media, politica, social network) fa in occasione di eventi naturali estremi benché, ad un’analisi onesta e razionale, questi eventi si rivelino spesso tutt’altro che imprevedibili.
Con una frequenza stupefacente, pezzi d’Italia lasciati in balìa di fenomeni prevedibili e previsti, si sbriciolano portandosi via vite, famiglie, a volte intere comunità. Che si tratti di un terremoto in zone censite da decenni come sismiche, di un’alluvione in aree dichiarate da tempo ad alto rischio idrogeologico, di una frana su versanti cartografati da anni come pericolanti, scatta subito la retorica stucchevole della natura matrigna, della calamità, del grande cuore degli italiani, della macchina dei soccorsi. Considerazioni analoghe si potrebbero fare sui cambiamenti climatici: gli scienziati ci dicono da almeno dieci anni che, alle nostre latitudini, piogge torrenziali, ondate di calore e siccità prolungate sono effetti non probabili, ma certi, del riscaldamento globale. Ha senso tornare ogni volta a gridare all’emergenza?
Non si tratta di semplice sciatteria semantica, questo linguaggio distorto è dannoso perchè rappresenta una formidabile arma di distrazione di massa. La retorica dell’emergenza acceca la nostra coscienza collettiva, nascondendo le responsabilità ed aprendo la strada alla politica emergenziale, quella che trascura la prevenzione, la scienza e l’informazione, a favore della ricostruzione, con il suo corollario di commissari straordinari, finanziamenti fuori bilancio e appalti disinvolti.
Una comunicazione capace di tenere in maggiore considerazione le evidenze scientifiche rispetto alle reazioni di pancia e al sensazionalismo strappalacrime, sarebbe di grande aiuto al Paese. Abbiamo bisogno di apprendere dagli errori commessi, capire compiutamente i fenomeni e individuarne le cause, per evitare di doverne fronteggiare di nuovo le conseguenze.