Entro la fine del 2018 le vittime di fenomeni meteo-climatici estremi in Europa si conteranno con l’ordine di grandezza delle centinaia. Solo nell’ultima settimana, 30 persone (dato al 4 novembre) hanno perso la vita in Italia a causa di un’ondata di fenomeni estremi senza precedenti. Poche settimane prima si sono registrate situazioni simili in tutta Europa, culminati – nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica e dei media – nel più grande ciclone mai registrato nel Mediterraneo, un vero e proprio uragano che ha lambito a fine settembre le coste delle Sicilia per poi abbattersi sulla Grecia. Andando a ritroso fino ai mesi estivi, vale la pena ricordare la drammatica ondata di calore e siccità che ha messo in ginocchio l’Europa centro-settentrionale, portando il termometro oltre l’impensabile soglia dei 30 gradi al Circolo Polare Artico.
Non solo per gli scienziati, ma anche per un cittadino mediamente consapevole e informato, la frequenza e violenza crescente di queste anomalie non ha altra spiegazione che i cambiamenti climatici, che si combinano con un modello di sviluppo e di sfruttamento dell’ambiente ormai chiaramente insostenibile.
Invece, la politica si affanna a cercare di sfruttare anche questa occasione per arraffare consenso: si fanno sopralluoghi inutili in favore di telecamera, alla fine dei quali si invoca a gran voce lo “stato di emergenza”, panacea di tutti i mali portatrice di ghiotti finanziamenti a pioggia, che daranno il via ad appalti disinvolti per ripristini e ricostruzioni. Nessun accenno al piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico, scritto nella scorsa legislatura, mai finanziato e parcheggiato in chissà quale cassetto. Nessuna considerazione sulla necessità di superare lo sfruttamento rapace e miope del nostro territorio che ha contraddistinto gli ultimi 50 anni. Nessun ripensamento sulle ipotesi di condoni.
Il panorama mediatico non è meno desolante: nel racconto di questi giorni di vero e proprio monsone, l’espressione “cambiamento climatico” sembra essere sparita, quasi si trattasse di un nuovo tabù. La grancassa della retorica dell’emergenza, con tutto il suo armamentario stucchevole e ritrito di “maltempo”, “dissesto”, “calamità”, perfino “apocalisse” è partita per l’ennesima volta di gran carriera. Nessuna delle grandi testate sembra essere interessata ad approfondire le cause dei fenomeni, ad interpellare scienziati veri che possano dare un’interpretazione compiuta di questi eventi. Nessuno che ricordi che, nei soli tre anni trascorsi dalla conferenza di Parigi ad oggi, gli effetti del riscaldamento globale hanno subito un’accelerazione drammatica, mentre le misure che i Governi si erano impegnati ad adottare sono ancora per buona parte al palo.
La rimozione collettiva del problema del cambiamento climatico sembra impossibile da scardinare. Quando le prossime generazioni ci chiederanno conto di ciò che abbiamo loro lasciato in eredità, prepariamoci a rispondere che eravamo troppo impegnati a condonare abusi, a costruire nuove autostrade e ad insultare gli ambientalisti da salotto, per preoccuparci del loro destino.