Nel 2010-2011 in Maghreb hanno preso piede una serie di rivolte, rinominate in seguito Primavere Arabe, motivate da importanti rivendicazioni da parte della società civile. In seguito a tali fatti è stato possibile avviare, in alcuni casi, un processo di democratizzazione. Il caso della Tunisia è stato emblematico: il paese è stato investito da una vera e propria rivoluzione, che ha portato alla caduta del regime vigente e l’allontanamento della classe dirigente.
Le motivazioni che hanno spinto i tunisini a mobilitarsi e scagliarsi contro il regime di Zine el-Abidine Ben Ali, al potere dal 1987, sono state principalmente: la disoccupazione (soprattutto giovanile), le fortissime disuguaglianze sociali, la mancanza di organizzazioni liberali (sindacati, associazioni, media indipendenti…) e, infine, la corruzione dilagante. Le proteste iniziano nel dicembre 2010 e quasi un anno dopo, a fine ottobre 2011, si instaura il primo governo democratico post-rivoluzione, guidato da Rached Ghannouchi, del partito islamico moderato, Ennahda, storicamente all’opposizione.
Ma cos’ha tutto ciò a che vedere con la gestione dei rifiuti? Prima della rivoluzione, essa era, come tutto, centralizzata e controllata dal potere autoritario statale. Si poteva allora parlare di una certa efficienza del servizio, tuttavia non bisogna tralasciare alcuni elementi critici: i lavoratori impiegati non godevano di alcun diritto, le amministrazioni locali avevano competenze pressoché nulle e non era svolto alcun lavoro a monte volto alla sensibilizzazione della popolazione. Infine, non esisteva alcuna “giustizia ambientale”: le discariche erano collocate nelle periferie delle città, lontano dagli occhi delle fasce della popolazione più agiate e degli osservatori internazionali, ma spesso in corrispondenza degli insediamenti più poveri. Questa fetta della popolazione, oltre a risentire della situazione di marginalità, risiedeva inoltre nelle zone più inquinate e sporche del territorio tunisino, spesso anche sede di industrie di prodotti chimici destinati all’esportazione e fortemente inquinanti.
In seguito alla caduta della dittatura si è creato un vero e proprio vuoto istituzionale a livello amministrativo: le municipalità, i governatorati si sono trovati a gestire una situazione su cui non avevano mai avuto il controllo. Ciò ha causato una degenerazione del servizio e il proliferare di discariche irregolari in tutto il paese. Per questo si diceva che ad essere vittima della rivoluzione non fosse stato solo il regime di Ben Ali, ma anche l’ambiente.
Fin da subito è nato un dibattito su come si sarebbe dovuto riformare il servizio; le due principali esigenze che sono state manifestate dalle principali associazioni ecologiste sono state: il bisogno di creare delle partnership pubblico-private in modo da delegare i costi di una corretta gestione della raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, di conseguenza, un maggior potere decisionale a livello locale (decentralizzazione). In secondo luogo, un progetto di sensibilizzazione ed educazione della popolazione tunisina da svolgere a partire da un intervento in sede scolastica attraverso l’attività di enti statali, cooperative, associazioni e ONG.
Sulla scia di queste osservazioni sono stati avviati vari progetti all’avanguardia e, sicuramente, quello partito a Degache (a cui noi abbiamo collaborato) nel 2014 costituisce un esempio positivo. Tuttavia, il problema è tutt’altro che risolto e il dibattito è ancora aperto.
Di Anna Filippucci