Video, immagini, flash mob in piazza: una campagna a forte impatto per mobilitare i cittadini e invitare i governi d’Europa a dire no ai biocarburanti, che di bio non hanno proprio nulla.
Ancora olio di palma. Ora che siamo tutti attenti ad evitarlo negli alimenti, ce lo ritroviamo nei motori. Con danni ben maggiori, per un mercato che negli anni è più che quadruplicato, di pari passo con la devastazione ambientale che comporta: milioni di ettari delle foreste più preziose del pianeta, come quelle del Borneo, rasi al suolo, insieme a molte specie animali, tra cui gli oranghi.
E se il destino del Borneo e degli oranghi può sembrare distante dalle nostre faccende quotidiane, è bene sapere che l’Europa ha un ruolo di primo piano, sia perché è uno dei maggiori importatori a livello mondiale di olio di palma destinato ai carburanti, e sia per i sussidi elargiti. Con il paradosso che questi carburanti, che si fregiano erroneamente dell’appellativo “bio” o “green”, a conti fatti risultano più impattanti sul clima rispetto al diesel tradizionale.
Legambiente allora lancia l’appello, con la petizione #NotInMyTank, insieme ad una coalizione di realtà ambientaliste a livello internazionale, e con la campagna italiana #SavePongo.
A dare vita alla campagna italiana è Andrea Poggio, Responsabile mobilità sostenibile e stili di vita di Legambiente: chiedo a lui come è nata #SavePongo e con quali obiettivi. A Poggio, che è tra i fondatori dell’associazione del cigno del verde, di cui è stato presidente lombardo sino al 2006, si devono anche altre iniziative, come il premio Comuni Ricicloni e le giornate di volontariato Puliamo il mondo.
- Quando è partita la campagna #SavePongo?
La raccolta firme è partita a dicembre 2018. Ma la nostra mobilitazione contro le piantagioni di palma da olio, prima ad uso alimentare ed ora per i biocarburanti, risale a molto tempo fa.
- Ai fini della campagna sono stati maggiori i risultati ottenuti sul web o nelle piazze?
Serve tutto insieme: web e piazza. Dato che in questo caso l’obiettivo finale è la raccolta firme tramite la petizione online, il grande risultato lo abbiamo ottenuto tramite attività di mailing e con i social network, Facebook su tutti. Un buon ritorno è stato favorito dall’utilizzo di immagini e video di forte impatto, che indubbiamente risultano più efficaci rispetto a qualsiasi testo e riescono a suscitare interesse in modo immediato.
- Ogni giorno si parla di 25 oranghi in media che muoiono per la deforestazione. Ma insieme a loro anche molte altre specie. Come mai proprio gli oranghi sono il simbolo di questa azione?
L’Italia, che è al secondo posto come maggior produttore di biodiesel da olio di palma in Europa, riceve la gran parte delle importazioni dalle foreste del Borneo. Qui la specie di riferimento più nota è costituita proprio da questi primati: per questo sono i protagonisti della campagna. Poi la deforestazione devasta non solo gli oranghi, ma anche popolazioni indigene, espulse forzatamente dalle loro terre per far posto alle piantagioni di palma, e molte specie vegetali e di fauna selvatica.
- Quante firme avete raccolto con la petizione?
In tutta Europa, con la coalizione a cui aderiamo insieme ad altre ong internazionali, siamo a quota 600.000. In Italia, insieme ad altre associazioni, abbiamo raccolto oltre 200.000 firme. Ora mancano ancora pochissimi giorni, che saranno decisivi. Ma la battaglia non finisce.
- Quanto incidono campagne di questo tipo sull’opinione pubblica?
Prima di tutto serve informare le persone. Quando siamo partiti con la petizione, abbiamo attivato un sondaggio: i tre quarti degli italiani interpellati non erano a conoscenza del fatto che nei biocarburanti venisse usato olio di palma. Una volta messi di fronte alle informazioni, abbiamo chiesto loro se volessero utilizzarlo comunque per le loro auto. La risposta è stata unanime: un no assoluto.
Campagne come questa servono non solo a sensibilizzare ma anche a fare una corretta informazione, cosa che oggi manca, dato che molte informazioni vengono omesse volutamente.
Inoltre il fatto che preoccupa è che oggi molte aziende utilizzino una comunicazione incentrata sul Greenwashing, vale a dire una strategia finalizzata a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale. Questo avviene attraverso l’utilizzo del prefisso “bio” in modo indiscriminato, come nel caso dei biocarburanti, che hanno al contrario un impatto ambientale devastante.
- In che misura può arrivare il messaggio ai decisori politici?
In questi primi giorni di febbraio la Commissione Europea deve pronunciarsi sui biocarburanti: noi chiediamo di rispettare gli impegni presi con il Parlamento Ue di far cessare subito i sussidi e anticipare entro il 2025 la messa al bando dell’olio di palma nei biocarburanti. Il fatto che non si sappia ancora nulla indica che siano nel pieno della discussione. Azzardo dire che questo è un buon segno, di sicuro il messaggio è arrivato. E noi, comunque sia, non molliamo: non accetteremo mai certificazioni che non tengano conto della biodiversità.
Di seguito, il video della campagna:
Di Stefania Villa