“Nel suo libro 1984, George Orwell descrive uno stato totalitario dal pensiero binario, in cui la maggior parte della popolazione accetta le più flagranti violazioni della realtà perché incapace di trovare il modo di reagire e non sufficientemente interessata agli eventi riportati per coglierne la gravità. Grazie alla mancanza di comprensione, questa maggioranza è potuta rimanere sana di mente.”[1]
Questa citazione, tratta dall’introduzione di “What lies beneath”, ovvero l’interessante report realizzato dagli scienziati David Spratt e Ian Dunlop, sintetizza efficacemente l’approccio adottato dai policy makers per affrontare la crisi climatica; essi violano, appunto, la realtà scegliendo una narrativa che permetta di alterare la gravità della situazione. In questo contesto, per i comuni cittadini informarsi, capire e agire di conseguenza diventa complesso. Così è stato fino a tempi recentissimi. Fino al risveglio dell’opinione pubblica (forse) e l’ondata di proteste dell’anno passato.
Non è un caso che, la stessa accusa di immobilismo e ipocrisia sia stata mossa, con toni diversi, dall’attivista per il clima, Greta Thunberg, in occasione del suo intervento recente all’Assemblea delle Nazioni Unite, di fronte ai leader mondiali: «Voi venite da noi giovani e ci parlate di speranza? Come osate? Mi avete rubato i sogni e l’infanzia con le vostre parole vuote. E io sono una delle persone più fortunate. Le persone stanno soffrendo. Le persone stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E tutto quello di cui parlate sono soldi e favole su un’eterna crescita economica. Come osate!».
Le parole vuote, di cui parla Greta, sono il veicolo attraverso il quale si sceglie di raccontare la realtà che fa più comodo. Con semplici sfumature del linguaggio è possibile cambiare la percezione di un problema, e fino ad ora è convenuto a tutti scegliere toni pacati: “cambiamento climatico” al posto di “catastrofe climatica”, “global warming” (letteralmente, “intiepidimento della Terra”), al posto di “global heating” (ovvero un riscaldamento che porta all’“infiammazione della Terra”) e si tratta solo di alcuni dei lampanti esempi.
A partire da questa constatazione, il quotidiano inglese “The Guardian” si è impegnato a cambiare le espressioni con cui fa riferimento alla crisi climatica, ma non solo: anche le immagini, ovvero le impressioni visive, il linguaggio degli occhi, d’ora in poi seguirà una politica diversa. Partendo dunque dal principio secondo il quale le parole e le rappresentazioni modellano la percezione che si ha di un determinato fenomeno, il Guardian, con un’informazione accurata, mira ad accrescere le conoscenze, così da modificare la consapevolezza delle persone e stimolare, infine, azioni e pratiche più coscienti.
Appoggiandosi a Climate Visuals, banca dati di immagini e organizzazione di ricerca e consulenza sul cambiamento climatico, il quotidiano ha aderito ai 7 principi della piattaforma.
Come spiega la photoeditor del The Guardian, Fiona Shields, il modo corretto di comunicare la crisi climatica passa inevitabilmente attraverso le immagini: seguendo i 7 punti, queste dovrebbero innanzitutto raccontare un fenomeno catastrofico, che coinvolge persone reali e simili a noi, che impatta la loro (e la nostra) vita di tutti i giorni.
Meno ciminiere fumanti, macchie di petrolio nel mare o orsi polari rachitici, più racconti di esseri umani.
Perché i lettori diventino più coscienti e protagonisti insieme di una rivoluzione nello stile di vita, si devono cercare storie nuove, che rendano meglio il rapporto scalare tra le diverse azioni dell’uomo e il loro impatto sull’ecosistema globale; le foto scioccanti di catastrofi naturali rendono molto bene la gravità della situazione, ma causano spesso immobilismo, perché chi vi si trova di fronte percepisce solo la propria impotenza.
A questo proposito, le immagini dovrebbero raccontare anche delle esperienze positive e degli esempi virtuosi di soluzioni per contrastare la crisi climatica; azioni pratiche, risultati concreti causano più facilmente una reazione di chi le osserva, e questo vale anche per la classe politica, che sia di destra o di sinistra.
Deve cambiare, infine, la rappresentazione dei militanti per il clima: se continuiamo a percepirli come “altro” da noi non prenderemo mai in mano la situazione, lottando per un cambiamento concreto. Alla fine, ciò per cui combattiamo non è altro che l’impulso più naturale e primitivo che esista: l’autoconservazione. Ci si chiede “solo” di pensare leggermente più in prospettiva.
[1] Testo originale: « In his book 1984, George Orwell describes a double-think totalitarianism state where most of the population accepts « the most fagrant violations of reality, because they never fully grasped the enormity of what was demanded of them, and where not sufficiently interested in public events to notice what was happening. By lack of understanding they remained sane. »