La cantante lirica Malena Ernman, mamma di Greta Thunberg ha ormai smesso da anni di prendere l’aereo per spostarsi per le tournées internazionali: assecondando e condividendo la passione ambientalista della figlia, la donna ha rinunciato alla comodità e la rapidità degli inquinanti voli low cost, per tornare ad utilizzare i treni.
Flygskam nel 2019 è diventata una parola di tendenza in Svezia. Traducibile in “flight shame”, “vergognati di volare”, la campagna di comunicazione ambientale lanciata dalla piccola Greta e i suoi seguaci ha ottenuto un enorme successo e, da quanto risulta in un articolo della BBC di luglio 2019, il 37% degli svedesi intervistati preferisce ora prendere il treno piuttosto che l’aereo (dato che sarebbe aumentato del 17% in solo un anno e mezzo).
Greta e la nuova generazione di militanti del clima ci insegnano che certi comportamenti dovrebbero divenire inaccettabili o che, per lo meno, la gente dovrebbe essere più cosciente dell’impatto ambientale delle proprie azioni: dopo il flygskam, arriva così anche il “köpskam”, “vergognati di comprare”, in occasione del Black Friday dello scorso weekend, conclusosi ieri con il Cyber Monday. L’attacco al consumismo diventa il leit motiv dell’ultima manifestazione dei ragazzi di Fridays For Future, svoltasi in tutto il mondo lo scorso 29 novembre: “Block Friday”, così recitano i cartelli sorretti dalle fiumane di gente che hanno riempito le piazze in occasione del quarto sciopero globale per il clima.
Ma andiamo con ordine, di cosa è accusata questa tradizione importata dagli Stati Uniti, il cosiddetto Black Friday? Innanzitutto, si tratta di un weekend che non ha alcun significato in Europa, mentre negli USA segue al Ringraziamento; se i saldi in questo periodo possono dunque avere un significato oltreoceano, qua non si tratta d’altro che un metodo per smaltire lo stock di prodotti in eccesso, al di fuori dei periodi regolamentati per legge in cui sono previsti i saldi. Da qui l’accusa di incentivo al consumismo, di cui il Black Friday sarebbe simbolo lampante secondo i gretini.
Il principale bersaglio di questa campagna di protesta è il settore dell’abbigliamento, accusato di essere più inquinante ancora di quello del trasporto aereo: 10% dei gas serra complessivi, secondo uno studio della Fondazione Ellen MacArthur. Ciò che più impatta il nostro ambiente è la cosiddetta industria del “fast fashion”, ovvero le catene che producono prodotti di dubbia qualità in quantità massicce, come le catene H&M e Zara, i cui negozi non a caso sono stati location scelte per i numerosi sit-in di protesta lanciati dal movimento Extintion Rebellion proprio in occasione dello sciopero di venerdì scorso. Ma anche l’e-commerce non se la passa liscia: a Milano in migliaia hanno sfilato con cartelli contro la multinazionale Amazon, anch’essa accusata di incentivare il consumo in maniera malsana e controproducente per l’ambiente.
Il mondo questo weekend sembrava davvero lo scenario di un conflitto globale: da una parte, cartelli dappertutto che annunciano i saldi, orde di persone che invadono i negozi per comprare a prezzi scontati prodotti di ogni tipo, pubblicizzati alla tv, così come online; dall’altra, i militanti del “Block Friday”, attivisti convinti che iniziative di questo tipo siano da mettere sotto accusa perché pericolosi incentivi all’aumento delle emissioni inquinanti. Riuso, riciclo, stile di vita sobrio sono le parole chiave, i valori che guidano l’azione del movimento ambientalista, in contrapposizione con il consumismo indotto dal capitalismo.
Chi vincerà la battaglia?