“Le polveri sottili stanno veicolando il virus. Fanno da carrier. Più ce ne sono, più si creano autostrade per i contagi”, afferma Gianluigi De Gennaro, ricercatore all’Università di Bari.
Questa la conclusione cui sono giunti un gruppo di studiosi, parte della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), insieme ai ricercatori dell’Università di Bologna e di Bari. Essi hanno infatti recentemente pubblicato un paper (frutto di uno studio no-profit, i cui risultati sono liberamente consultabili online) all’interno del quale, argomentando con solidi argomenti scientifici e dati di una letteratura già diffusa sull’argomento, giungono alla conclusione che vi sia una correlazione positiva tra l’incidenza dei casi di infezione virale e le concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5).
Praticamente, il particolato atmosferico trasporta (per questo definito carrier) e permette la permanenza di “molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Essi si attaccano (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze”, recita il paper. Il cosiddetto tasso di inattivazione del virus dipende poi dalle condizioni ambientali: se un aumento delle temperature e delle radiazioni solari ne rendono più lenta l’attivazione, al contrario, situazioni di umidità relativa elevata causano un aumento della virulenza. Questo vale per diversi virus studiati.
Infatti, tali affermazioni risultavano verificate attraverso studi effettuati negli anni scorsi su virus diffusi nel mondo, tra cui l’influenza Aviaria, il RSV e il morbillo. A partire da queste considerazioni, gli studiosi hanno dunque avviato un’analisi dei dati relativi alla situazione attuale e la diffusione del Covid-19. E’ stato quindi operato un confronto tra “i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia”, con una particolare attenzione per il numero di “eventi di superamento del limite di legge (50 μg m-3) per la concentrazione giornaliera di PM10” nelle diverse province e “i dati sul numero di casi infetti da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile (COVID-19 ITALIA)”. A partire da questi numeri, gli studiosi evidenziano una correlazione positiva tra “i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 Febbraio di 14 gg approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta).”
La mappa sottostante illustra questa correlazione, mettendo in evidenza la Pianura Padana come zona con il più elevato inquinamento atmosferico (regioni italiane di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna) e anche con il più importante numero di contagi da Covid-19.
Ancora più interessante, le date dei giorni di picco nei numeri dei contagi corrispondono sempre a circa 14 giorni dopo le date di superamento della concentrazione di PM10 nelle stesse province. Il paper conclude quindi che le “in relazione al periodo 10-29 Febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo”.
Lo studio, oltre a fornire un interessante strumento per previsioni relative ai numeri dei contagi ora che, gradualmente (a causa della diminuzione delle attività economiche e della circolazione di veicoli), l’inquinamento atmosferico si sta abbassando, risulta utile per fini comunicativi. Infatti, ed è quanto afferma in conclusione il paper stesso, è essenziale, questo in maniera generale, diminuire l’inquinamento atmosferico. L’appello lanciato dagli studiosi è in primis indirizzato ai decisori politici, i quali sono direttamente[1] sollecitati ad intraprendere misure restrittive sul lungo termine per il contenimento dell’inquinamento.
Inquinamento che, oltre a favorire la diffusione e la permanenza di virus nell’atmosfera, è inoltre causa stessa di malattie e problemi respiratori. L’infiammazione delle vie aeree dovuto alla cattiva qualità dell’aria è infatti una delle importanti complicanze cui vanno incontro persone già affette da patologie pregresse di tipo cardio-vascolare e respiratorio. Le cifre sulle sole “vittime dell’inquinamento” nella Pianura Padana negli ultimi anni sarebbero infatti sufficientemente allarmanti per intraprendere misure sempre più rigide per la riduzione dell’inquinamento.
Citato poeticamente da Erri de Luca in un suo articolo su La Repubblica, ripreso dalle principali testate giornalistiche italiane e raccontato in un servizio di RaiNews24 il 17 marzo scorso, per citare alcune delle fonti, questo studio potrebbe essere il punto di partenza efficace per una campagna di comunicazione ambientale su vasta scala per la riduzione dell’inquinamento nella Pianura Padana.
Chissà, magari ad emergenza conclusa. Intanto, agli italiani la possibilità di cominciare a riflettere sulle conseguenze del nostro modello di sviluppo economico, pieno di fragilità e lati oscuri.
[1] Secondo quanto ha affermato Grazia Perrone, docente di metodi di analisi chimiche della Statale di Milano, che ha preso parte allo studio. Citata qui