La paura per il contagio ha innalzato le vendite di imballaggi: secondo ilSole24Ore il numero di questi, almeno per quanto riguarda il commercio elettronico, hanno segnato un balzo del 73% tra il 22 febbraio e l’8 marzo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Particolare attenzione è stata data agli imballaggi di plastica, considerati più igienici e quindi sicuri nel contenere il contagio da coronavirus. Una sicurezza che ha dato slancio al tema dell’usa-e-getta, settore che prima dell’attuale emergenza era stato ridimensionato da due provvedimenti cruciali: la direttiva europea sulla single-use-plastic, appunto, e la cosiddetta plastic tax.
Per entrambe le misure è stato chiesta, nel primo caso, una rimodulazione dei tempi di entrata in vigore, per la seconda invece una vera e propria sospensione. Da chi ha avanzato tali pretese è stato avanzato il fatto che la plastica usa-e-getta è un materiale più sicuro e igienico, quindi molto adatto alla pandemia che stiamo vivendo.
Ma è vero che la plastica è più igienica e più sicura? Le cose, a differenza di come sono comunicate, non stanno esattamente così. Almeno a livello generale.
Durante una sua diretta facebook, il premier Giuseppe Conte ha rassicurato i produttori di plastica, dicendo che le norme restrittive non avrebbero portato al collasso del settore. Un assist, molto probabilmente involontario, che è stato subito preso al volo dai produttori che, difendendo appunto il ruolo della plastica in questa fase, hanno prontamente chieso la sospensione della plastic tax in Italia. La tassa, approvata con l’ultima Legge di Bilancio, dovrebbe entrare in vigore nel luglio 2020 e prevede per il produtture il pagamento di un’imposta pari a 1 euro al chilogrammo per quanto riguarda i contenitori di plastica (es. bottiglie, sacchetti, vaschette per alimenti, ecc.). Secondo alcune testate giornalistiche, la sospensione della tassa starebbe diventando un’ipotesi reale, anche se a livello governativo non è stata ancora adottata alcuna scelta in merito.
A livello europeo, intanto, si è mossa l’associazione di categoria European plastics converters la quale ha inviato una missiva alla Commissione Europea in cui chiede un rinvio della data di entrata in vigore della Direttiva sulla Single-use-plastic (Sup), “per dare più tempo agli stati membri dell’Ue di concentrarsi su misure più urgenti nella lotta contro il Covid-19”. La Direttiva oggetto della richiesta è quella che dovrebbe abolire dal 2021 alcuni manufatti in plastica usa-e-getta. Nella stessa lettera, l’associazione spiega come “le materie plastiche monouso non sono facilmente sostituibili e offrono vantaggi unici quando si tratta di garantire igiene, sicurezza e conservazione dalla contaminazione per la protezione dei consumatori”.
Zero Waste Europe ha calcolato i tempi di permanenza del virus sui vari materiali spiegando come sulla plastica sia maggiore di quel che si pensi: secondo Enzo Favoino della scuola agraria Parco di Monza, infatti, i materiali che compongono gli imballaggi dovrebbero trascorrere un certo periodo in quarantena prima di essere manipolati. In primis la plastica, perché ha un tempo di permanenza di alcune ore. “Fare la spesa al supermercato significa aumentare il tasso di ricambio degli imballaggi nell’ambiente domestico, aumentando di fatto il rischio di diffusione del virus”.
Insomma, l’emergenza da covid19, dati alla mano, non ci giustifica a fare più rifiuti. La riduzione di questi rimane un comportamento virtuoso, tanto più che il mondo che verrà nel post-epidemia ha bisogno ancora di più di comportamenti virtuosi e all’insegna della sostenibilità. Compito della comunicazione è quello di veicolare il messaggio in questa direzione.