Nei giorni scorsi si è celebrata la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Molti media, sia di settore che generalisti, hanno sottolineato la ricorrenza con articoli in grande evidenza, i cui titoli richiamavano l’importanza di “difendere l’ambiente”, “proteggere la natura”, “salvare il pianeta”. Tutte affermazioni condivisibili e lodevoli, ma destinate a fallire il bersaglio dal punto di vista comunicativo.
Siamo in pieno Antropocene, la nostra specie guarda alla natura o all’ambiente come altro da sé, qualcosa da cui, grazie a posizione eretta, cervello voluminoso e pollice opponibile, pensiamo di esserci allontanati, spezzando le catene dell’interdipendenza. Questa illusione costituisce una grave minaccia per la sopravvivenza della nostra Civiltà, che potremo scongiurare solo comunicando con efficacia che ad essere in gioco non è la vita sul nostro Pianeta. La Terra ha oltre 4 miliardi di anni ed è, secondo gli scienziati, circa a metà della sua esistenza. L’Homo Sapiens è qui da poco più di 200mila anni, un tempo brevissimo. Per capire la proporzione, immaginiamo che se la storia della Terra fosse una linea lunga 20 metri, l’Uomo non ne occuperebbe che l’ultimo millimetro. La Terra esisteva e continuerà ad esistere, alimentando i cicli della Natura, per moltissimo tempo, con o senza di noi.
Quello che dobbiamo mantenere è il nostro habitat, le condizioni che hanno permesso alla nostra specie di evolversi con successo fino a quella che chiamiamo Civiltà.
A causa del cambiamento climatico e di altri impatti delle nostre attività, questo habitat si sta riducendo. Terre che da millenni ospitano popolazioni umane non sono più abitabili, o rischiano di non esserlo entro pochi decenni. La desertificazione sta rendendo impossibile vivere in ampi territori dell’Africa subsahariana, riducendo alla fame interi popoli, e alimentando guerre, terrorismo e migrazioni, fenomeni che preoccupano l’umanità intera. Spostandosi verso oriente, l’innalzamento degli oceani sta allontanando dalle proprie case milioni di abitanti delle zone costiere del Bangladesh, mentre l’Indonesia dovrà costruire una nuova capitale, per sostituire Giacarta che sta affondando in mare.
Nella nostra parte di mondo la situazione non è certo migliore: l’Italia si trova in una delle aree più esposte agli effetti del climate change, ma la comunicazione stenta a trovare le parole per spiegare efficacemente i rischi che corriamo. Quando ad esempio raccontiamo il rapidissimo assottigliamento dei ghiacciai alpini, sottolineare che stiamo perdendo paesaggi mozzafiato e ambienti unici e fragili è tanto giusto quanto inutile. Dobbiamo spiegare con chiarezza, dati alla mano, che si sta compromettendo la riserva d’acqua che rende la Pianura Padana una delle aree più fertili e prospere d’Europa. Solo in questo modo potremo trasmettere l’urgenza di quegli interventi di mitigazione e adattamento che, se adottati con sufficiente rapidità e determinazione, potranno garantire un futuro alla nostra Civiltà per come la conosciamo.