Daniela Spera, di Taranto, si definisce cittadina attiva. È farmacista, specializzata in chimica, giornalista, attivista nell’associazione “Legamjonici” e ha messo le sue competenze scientifiche a servizio dell’ambiente, della lotta per la salute e per la giustizia a Taranto. È stata consulente di parte per alcuni allevatori, costretti a fare abbattere il proprio capo di bestiame contaminato da diossine, nell’inchiesta sul disastro ambientale che ha avviato il processo ‘Ambiente Svenduto’. Ha dato il proprio contributo nell’indagine chimico-ambientale. È promotrice a Taranto del ricorso collettivo alla Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) sulla questione Ilva. Ha creato la rete Mamme da Nord a Sud.
Daniela, qual è stato il tuo impegno nel caso Ilva?
Sono attivista in Legamjonici, e quando un avvocato di pastori danneggiati dalla diossina mi chiese di essere consulente di parte, per la mia preparazione chimica, accettai di buon grado. Ero un occhio vigile, in tutti i momenti dell’indagine. Negli anni, inoltre, con l’associazione Legamjonici abbiamo presentato osservazioni, denunce, comunicati stampa. Facevamo comunicazione scientifica su aspetti di chimica ambientale e di epidemiologia. Nel 2013 abbiamo presentato questo primo ricorso collettivo alla Cedu e nel 2019 è arrivata la sentenza, la prima vittoria da parte dei tarantini. La Corte Europea ha condannato lo stato italiano perché non ha fatto in modo che venisse tutelata la salute dei cittadini. È una sentenza storica che definisco “incoraggia tribunali”, infatti è stata citata spesso nelle aule. Per la prima volta si è messo al centro il principio di precauzione. In generale a Taranto, tutte le azioni fatte dai cittadini attivi hanno aiutato la magistratura ad arrivare ad una svolta. Nonostante l’opposizione della politica e dei sindacati confederali che ci hanno perennemente ostacolato. Ci chiamavano terroristi, allarmisti. Con l’associazione ‘Giustizia per Taranto’ ho collaborato, insieme ad altri esperti, alla stesura di un documento che abbiamo consegnato come pungolo al sindaco di Taranto affinché improntasse un’ordinanza di chiusura dell’area a caldo in seguito emanata dal sindaco (poi impugnata dall’ex Ilva e legittimata dal Tar di Lecce, ma respinta dal Consiglio di Stato ndr).
Essere cittadini attivi è difficile?
Molto. Soprattutto se ti batti contro degli interessi giganti. Se guardo indietro mi chiedo come abbiamo fatto a subire tutto questo e andare comunque avanti. L’unica cosa che ci motivava era l’amore per i bambini di Taranto, che sono innocenti e non possono morire così. Quando poi sono arrivate le sentenze della magistratura europea e nazionale a darci ragione, è stato un enorme riconoscimento. In un contesto come questo, i cittadini attivi devono avere costanza e determinazione ma anche la fortuna di rimanere vivi, perché la vita non è scontata in zone così inquinate.
Non solo Taranto… Daniela, cosa ti ha spinto a creare la rete Mamme da Nord a Sud?
Dopo la sentenza della corte Europea, sono stata invitata in Abruzzo dal gruppo di Augusto De Sanctis dove ho incontrato due mamme No Pfas, del Veneto: Michela Piccoli e Giovanna Dal Lago. Pur non essendo dello stesso territorio, abbiamo avvertito lo stesso senso di frustrazione, di impotenza, di determinazione contro un’immane ingiustizia ambientale: i veleni hanno inquinato aria, acqua e suolo e già da tempo si vedono gli effetti sui nostri figli. Allora ci siamo dette perché non creiamo una rete di mamme da Nord a Sud? Io in realtà non ho figli, ma fu proprio Michela a dirmi: “Tu sei la mamma numero uno, perché stai lottando per i figli di tutti.” Abbiamo quindi creato una pagina FB e nel giro di poco tempo, abbiamo avuto tantissime adesioni, dalle Mamme No Pfas in Veneto, alle mamme vulcaniche in Campania, ma anche altri comitati di genitori (e non) contro inceneritori, metanodotti, cementifici, smog, in tutta Italia. Molte mamme hanno perso i loro bambini per inquinamento, oppure li vedono ammalarsi. Una tragedia infinita contro cui bisogna ribellarsi. La rete è importante, offre supporto e confronto, fa da cassa di risonanza ai comunicati, e fa paura alla politica. Credo che la solidarietà reciproca sia alla base della cittadinanza attiva.