Uno degli argomenti “di tendenza” sui media di questo periodo è la discussione sulla sostenibilità o meno dell’auto elettrica. Senza voler entrare nel merito tecnico, per il quale una buona analisi di Life Cycle potrebbe dare risposte esaustive, è utile fare qualche considerazione di tipo più ampio.
La prima cosa da considerare è che la discussione non può iniziare e finire con l’auto privata (qualunque sia il motore che la muove), ma dovrebbe vedere quella che in inglese si chiama “big picture”. Dovrebbe cioè avere una visione ampia del concetto di mobilità, puzzle piuttosto complesso di cui l’auto è solo un tassello.
Che le lobby interessate dalla transizione avrebbero reagito, vedendo minacciate le loro rendite di posizione, era facilmente prevedibile. Una volta sfruttata nell’immediato l’opportunità di accelerare il ricambio del parco circolante, i giganti dell’automotive sanno che la transizione all’elettrico rappresenta per loro nel medio periodo una sfida ineludibile ma dall’esito incerto, destinata a cambiare equilibri consolidati. Per giunta, gli attacchi più o meno strumentali arrivati dai vertici di alcuni dei maggiori produttori mondiali (leggi e leggi) di auto partono dal presupposto che lo scenario resti quello attuale, con l’auto al centro del modello di mobilità. Che cioè, per fare esempio, in Italia continuino ad esserci 64 auto per 100 abitanti, 52 nella media europea, che la quasi totalità di questi mezzi sia di proprietà dell’utilizzatore, che rimangano parcheggiati in media per il 96% del tempo, e viaggino per lo più con un solo posto occupato sui 5 disponibili.
Il mondo della comunicazione avrà un ruolo fondamentale nel far comprendere che la mobilità sostenibile, per essere davvero tale, dovrà prendere una direzione molto diversa da quella del XX secolo: quella della mobilità come servizio. Più car sharing e car pooling, più trasporto pubblico, più bicicletta, solo per fare qualche esempio. E questo non potrà che tradursi in una drastica diminuzione dell’indice di motorizzazione, senza che questo significhi che le persone si muoveranno di meno, perdendo una parte del loro benessere, ma che anzi si muoveranno meglio, utilizzando di volta in volta il mezzo più adatto.
Ma per fare questo sarà necessario un salto culturale, dovremo smettere di vedere l’auto come un simbolo di libertà e autoaffermazione, e tornare a considerarla per ciò che è: un mezzo da usare solo quando indispensabile in quanto inefficiente e costoso, per gli individui e la collettività, termico o elettrico che sia il motore che lo muove.