Spesso, quando si parla di cambiamento climatico e sostenibilità ci si focalizza su un’azione specifica volta a modificare il comportamento di qualcuno (siano esse le grandi o piccole aziende, i consumatori etc.), ma difficilmente si analizza (anche per la complessità di risposte che questo fenomeno comporta) l’intero arco di azioni necessario per affrontare il problema.
Prendiamo ad esempio alcune delle campagne promosse da aziende più o meno conosciute nei confronti degli obiettivi di “carbon neutrality”. La maggior parte di esse si concentrano su obiettivi a lungo termine (es. “la nostra azienda sarà ad emissioni zero a partire dal 2040”; “utilizzeremo energia rinnovabile a partire dal 2030”) e tengono in considerazione le sole emissioni di CO2 provenienti da determinati settori tradizionalmente considerati inquinanti (come la produzione energetica, i trasporti o, come nei casi citati, il settore dell’innovazione tecnologica).
Se da un lato queste campagne sono utili perché informano i cittadini (soprattutto in veste di consumatori) di un problema esistente e allarmante, dall’altro spesso sono poco ambiziose, parziali e rivolte ad un futuro decisamente lontano, mentre una profonda crisi è già in atto.
Per questo motivo è necessario cambiare prospettiva nella lotta al cambiamento climatico. Gli stessi accordi internazionali sul tema (come l’Accordo di Parigi) danno pressoché grande libertà agli Stati firmatari e dunque alle aziende e si concentrano, così come le campagne sopra citate, su un solo “lato della medaglia”.
Infatti, così come ci si sta “impegnando” a livello istituzionale in una sostanziale riduzione delle emissioni di CO2, sarebbe necessario che le stesse istituzioni (come l’UE) promuovano nei confronti delle aziende (e dunque di riflesso nei confronti dei consumatori) tutta una serie di comportamenti che permetterebbero di ridurre le emissioni inquinanti e mitigare gli effetti della crisi climatica.
Spesso infatti, quando si parla di azioni per contrastare il cambiamento climatico, il modo in cui ci alimentiamo (visto ancora come una scelta personale, modificabile solo dall’individuo, se motivato) non viene preso in considerazione e anzi, parlare del nesso tra dieta plant-based e ambiente risulta spesso un taboo.
La Politica Agricola Comune (PAC), il piano Europeo per il sostengo agli agricoltori, ne è un esempio lampante. Infatti, nonostante una proposta di riforma, bocciata nel 2020, permangono tra i finanziamenti PAC, quelli stanziati per la produzione di carni e derivati animali – invece che ad una riconversione produttiva sostenibile (che in passato hanno toccato il 75% del totale), la cui produzione, oltre ad essere del tutto contraria a qualsiasi protezione del welfare animale, è altamente impattante a livello ambientale. Senza contare che, secondo Greenpeace, le emissioni prodotte dagli allevamenti sono aumentate di circa il 6% negli ultimi 10 anni (e le cui emissioni annue superano quelle di tutti i mezzi di trasporto circolanti nella sola UE).
Questo fatto è totalmente disallineato dalle linee guida politiche della Presidente della Commissione Europea Von der Leyen, la quale ha promosso, attraverso il progetto del “Green deal Europeo”, una transizione verso un sistema agro-alimentare capace di tutelare la biodiversità, la lotta ai cambiamenti climatici e gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Lo stesso discorso vale per la strategia europea “from farm to fork” che teoricamente mirerebbe a modificare le abitudini alimentari dei cittadini verso un alimentazione (almeno) più sostenibile/plant-based.
Per questo motivo, è necessario che la comunicazione ambientale delle aziende, così come delle istituzioni, sia più chiara e trasparente e soprattutto che le azioni intraprese siano in linea con i dettami teorici. È ormai scientificamente (ed eticamente) assodato che la produzione di carne e derivati sia iniqua (sia in quanto specista, sia perché altamente inquinante) ed è ora che quando si parla di sostenibilità si tenga conto anche di questo fattore che non può più essere considerato solamente come una scelta elitaria o individuale ma un imperativo (collettivo) di uguaglianza e rispetto per l’ambiente.