A maggio 2020, in pieno lockdown, dopo un lungo percorso, veniva fondato a Parma il Consorzio Forestale KilometroVerde, esperienza di partnership tra aziende, istituzioni e terzo settore con l’obiettivo principale di attivare iniziative di forestazione urbana. Incontriamo Maria Paola Chiesi, Presidentessa e anima del Consorzio, per qualche riflessione particolarmente incentrata sulla comunicazione.
Anzitutto ti chiedo di introdurci brevemente alle attività e alla missione del Consorzio.
La nostra missione è creare boschi permanenti, soprattutto in ambiente urbano e periurbano, a Parma e provincia, con l’obiettivo di contribuire all’adattamento al cambiamento climatico, grazie ai tanti servizi ecosistemici che gli alberi garantiscono. Inoltre, promuoviamo il verde come elemento di socialità, funzione che è stata fortemente rilanciata dal periodo della pandemia.
Spesso il piantare alberi viene fatto passare come risposta miracolistica alla gigantesca questione del cambiamento climatico, e si sa che le risposte semplici a problemi complessi trovano subito eco e seguito.
È un errore che cerchiamo di evitare, anche se è indubbio che comunicativamente il piantare alberi funziona. Provengo da un lungo percorso all’interno dell’azienda di famiglia (che ha portato tra l’altro alla certificazione di BCorp, NDR) in tema di sostenibilità, grazie al quale ho capito l’enorme complessità delle questioni, e mi disturbano gli approcci che tendono a banalizzarle con slogan e soluzioni da bacchetta magica.
Un altro rischio delle iniziative di forestazione è quello di prestare il fianco a tentativi di greenwashing. Trattandosi di attività accattivanti, che si possono portare avanti semplicemente finanziando qualcuno che si occupa di tutto, rischiano di essere appetibili per chi voglia costruirsi una reputazione green “chiavi in mano”. Come vi muovete per scongiurare il rischio di strumentalizzazioni?
Esercitiamo una disciplina ferrea sulla comunicazione che esce sia da noi che dai nostri soci, chiediamo che l’adesione al Consorzio non venga usata nella comunicazione pubblicitaria, tantomeno come compensazione delle proprie emissioni. Direi che è un buon deterrente, finora abbiamo avuto comportamenti corretti da parte di tutti i nostri 75 aderenti.
Un’altra cosa che facciamo è filtrare le richieste di adesione, che devono essere approvate dal Consiglio anche sulla base della credibilità e reputazione dell’azienda. Non ci sono regole formalizzate, ma il consiglio, nel quale sono rappresentate anche le associazioni ambientaliste, valuta con attenzione e buon senso se il candidato socio porta in dote una reputazione accettabile. Ricordiamo che le nostre attività hanno una scala locale, e questo facilita l’attività di selezione.
Aggiungo che i soci ordinari mettono a disposizione terreni di loro proprietà, di cui perdono la disponibilità in maniera irreversibile, visto che un bosco permanente una volta messo a dimora non può più essere destinato ad altri usi. Insomma, assumono un impegno concreto di fronte alla comunità locale. Molto diverso dal comprarsi crediti di carbonio a 10 euro la tonnellata con piantagioni lontane migliaia di chilometri, che magari non vedrai mai e sul cui futuro ci sono poche garanzie.
Ti faccio una domanda che riprende in chiave comunicativa alcuni dei temi che hai toccato. Perché secondo te sfide enormi, ormai note a tutti come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, non bucano lo schermo, non riescono a diventare discussioni che coinvolgono davvero il pubblico?
Ci sono responsabilità evidenti dell’ambito mediatico, politico, economico. Tutti continuano a parlare del PIL del prossimo trimestre, e per quanto continuiamo a riempirci la bocca di un nuovo capitalismo, il modello imperante rimane quello basato sugli interessi degli azionisti. Non c’è praticamente nessuno, nella politica o sui media, con il coraggio di riconoscere che la risposta ai costi di bollette e carburanti non è il taglio delle accise, ma la riduzione dei consumi, perché è evidente che stiamo consumando troppo, al di là dei limiti del Pianeta. Questo nessuno lo dice, per paura di perdere consensi.
Il Consorzio sta avendo una buona visibilità, come può dare un contributo al problema che descrivi, lanciando un messaggio che sappia andare oltre il pensiero di breve termine che vediamo dominante?
Noi piantiamo alberi piccoli, e questo non piace a chi vorrebbe un effetto “pronto all’uso”, che illuda di risolvere il problema dall’oggi al domani. Gli alberi piccoli, oltre ad avere un costo inferiore e una maggiore probabilità di attecchimento, sono un messaggio, un ponte tra generazioni.
Li piantiamo e ce ne prendiamo cura per i primi anni di vita, anche se non li vedremo grandi: sono un dono per chi verrà dopo di noi. Portiamo questo messaggio anche nelle scuole con il progetto WeTree, con il quale andiamo in classe a parlare di sostenibilità e poi invitiamo i ragazzi sul campo, a mettere fisicamente a dimora i nuovi alberi. Collaboriamo in questo progetto con Arpa e con WWF, Legambiente, Manifattura Urbana, Festival dello Sviluppo Sostenibile, che portano valori, competenze ed entusiasmo.
Cerchiamo poi di fare divulgazione rivolta a tutti i cittadini, anche adulti: con l’Università di Parma lavoriamo alla stesura di quattro dossier scientifici sui benefici del verde urbano rispetto a ondate di calore, regimazione delle acque, inquinamento e socialità. Vogliamo far comprendere la relazione tra il problema enorme e globale dell’emergenza climatica e il quotidiano delle persone, per aiutarle a superare vecchie visioni e abitudini, comprendendo l’urgenza delle sfide che abbiamo di fronte.