Nemmeno il più accanito negazionista può oggi disconoscere l’arrivo al pettine dei tanti nodi del nostro modello di sviluppo: emergenza climatica, collasso della biodiversità, siccità, eventi estremi, crisi energetica. Questa evidenza ormai incontestabile non si sta però traducendo in una disponibilità a veri cambiamenti. Dalla classe politica alla società civile, complice anche un sistema mediatico largamente inadeguato alla grandezza, importanza e complessità delle sfide che ci attendono, troppi si limitano a guardare attoniti quanto accade, senza trarne una reale spinta al cambiamento. Al contrario, tanti si cullano ancora nell’illusione che qualche scoperta miracolosa ci potrà tenere al riparo dall’assunzione delle nostre responsabilità individuali e collettive.
Tra le insidie comunicative più pericolose va sicuramente annoverato il miraggio del “silver bullet”. Questa espressione inglese indica quelle soluzioni che ci illudono di venire a capo in maniera semplice e immediata di questioni che si presentano troppo complesse, la cui comprensione è troppo lontana da ciò che conosciamo e a cui siamo abituati.
Proprio quello che, solo per fare un esempio, si verifica con l’attuale emergenza energetica globale, intreccio apparentemente inestricabile di collasso ambientale, tensioni geopolitiche, inquietudini sociali, squilibri finanziari, deficit culturali. Tra le risposte più gettonate, svetta il fantomatico nucleare di quarta generazione, sul quale si baloccano giornalisti, politici, e una agguerrita e rumorosa tifoseria sui social. Senza entrare in questa sede nel merito tecnico/scientifico, va ricordato che ad oggi il nucleare di IV generazione (cioè la produzione di energia da fusione nucleare della quale si favoleggia dagli anni ‘50) semplicemente non esiste. Sono in corso sperimentazioni, che nella migliore delle ipotesi porteranno un kwh in rete non prima di 40 o 50 anni, quando la catastrofe climatica avrà superato abbondantemente il punto di non ritorno.
Un perfetto esempio di silver bullet, che ci illude, come comunità e come individui, di poter risolvere i problemi senza modificare il nostro modello socioeconomico e i nostri stili di vita individuali. Che l’ineludibile transizione del modello di produzione e consumo incontri molte resistenze è cosa nota: anzitutto quelle di chi vede minacciati interessi e rendite di posizione ereditate dal XX secolo, ma anche quelle di chi, molto semplicemente, non vuole abbandonare abitudini adottate e consolidate nei decenni. Ma perché tanti nell’ambito mediatico, che al contrario avrebbe il compito di contribuire a fare chiarezza, sono disposti ad ascoltare e rilanciare risposte parziali e ingannevoli?
Il mondo della comunicazione in un contesto così complesso ha una responsabilità enorme, non dovrebbe prendere le parti di questa o quella tifoseria, ma fare buona informazione, raccontare le cose come stanno, semplificare senza banalizzare, dando il giusto spazio alla voce che più di tutte dovremmo ascoltare in questi tempi: quella della comunità scientifica. E soprattutto ricordare l’aforisma di George Bernard Shaw:
“Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata.”