Parlando di “Città 30”, fino a pochissimo tempo fa ci si riferiva a un concetto misterioso. Una suggestione confinata alle città nordeuropee, da sempre viste come modelli urbani inarrivabili. Negli ultimissimi tempi diverse Amministrazioni in Italia hanno iniziato a trasformare il sogno in realtà: oltre a Milano che ha attirato l’attenzione dei media, si stanno muovendo centri medio piccoli come Olbia, Cesena, Parma e Città metropolitane come Torino e Bologna, solo per fare qualche esempio.
Marco Mazzei, giornalista e Consigliere Comunale a Milano, è tra coloro che lavorano per trasformare la suggestione in azioni concrete. Lo incontriamo durante una delle tante occasioni nelle quali viene chiamato a presentare il progetto Città 30, come primo firmatario dell’Ordine del Giorno che ha impegnato il Comune di Milano ad attivare questo percorso.
«L’obiettivo della mia azione politica – chiarisce Mazzei – non è stato tanto quello di promuovere l’idea in sé, che era in realtà già prevista in diversi documenti di pianificazione, quanto quella di accelerare, visto che strumenti come il PUMS o il Piano Aria Clima collocano questi cambiamenti molto in là nel tempo».
Purtroppo sui media stiamo assistendo a un dibattito che divide in tifoserie l’opinione pubblica anziché fornire strumenti per capire compiutamente di che cosa si sta parlando.
«È così. Stiamo vedendo un confronto molto aspro a tratti, difficilmente spiegabile se si pensa che già oggi in effetti si viaggia molto più lentamente (secondo uno studio di alcuni anni fa la velocità media del traffico a Milano è di circa 9 km/h, ndr). Il concetto di Città 30 non si limita certo ad abbassare il limite di velocita, ma è la tappa di un percorso verso un nuovo paradigma di città.
Il punto di partenza di tutto questo è che veniamo da un modello urbano, sviluppato negli ultimi 70 anni, completamente costruito sull’auto privata. Un modello che nel momento in cui è stato pensato aveva una logica, ma che oggi appare in crisi e per il quale c’è un’evidente necessità di ripensamento.
Si tratta prima di tutto di cambiare visione e prospettiva, facendosi carico dei problemi, ad esempio a livello di sicurezza. È dimostrato che le conseguenze dell’impatto con un’auto per un ciclista o un pedone sono molto spesso letali e comunque gravissime a 50 km/h, mentre a 30 queste diminuiscono drasticamente».
«A fronte anche solo di questo dato un amministratore non dovrebbe avere dubbi sulla scelta da fare. L’ordine del giorno, infatti, ha raccolto un arco di forze molto ampio, dal Terzo Polo ai Verdi: un così largo consenso ha un forte significato di indirizzo dell’azione della Giunta».
Dopo questo voto che cosa succederà? In che modo comunicherete questo cambiamento?
«Il passaggio fondamentale sarà una campagna di comunicazione, condivisione e dialogo con i Cittadini. Racconteremo alla città che cosa significa tutto questo, che non è solo andare più piano, ma anche e soprattutto un modo diverso di vivere lo spazio urbano.
Sono sicuro che il messaggio passerà, come successo tante volte su temi che oggi ci sembrano scontati. Pensiamo alle cinture di sicurezza, che ai tempi furono osteggiate mentre oggi le indossiamo senza nemmeno pensarci, perché abbiamo capito che proteggono la nostra vita».
Ci sono alcune obiezioni che ricorrono: è solo un modo per fare cassa con le multe, chissà che code si formeranno, il limite a 30 è solo per le strade minori. Che cosa ti senti di rispondere in poche frasi?
«Anzitutto, lasciami dire che “fare cassa” e un’espressione odiosa, perché in quella cassa ci sono fondi del Comune che servono per pagare gli asili nido e il trasporto pubblico. Detto questo, non deve passare il messaggio che la chiave di tutto siano limiti e sanzioni. Se c’è una regola è giusto farla rispettare, ma il successo del progetto non sarà certo legato al fare tante multe.
Sull’idea che si formino code, come detto poco fa, già oggi nelle nostre città si gira a velocità molto inferiori a 30 km/h. Si ridurranno invece le continue accelerazioni e frenate, che rendono molto più inefficienti i veicoli e aumentano congestione e pericolosità del traffico. Riguardo la terza obiezione: dobbiamo fare in modo che le regole siano il più possibile chiare e uniformi, e che tutti sappiano che la città viaggerà a 30 – poi, naturalmente i tecnici valuteranno se mantenere strade con il limite a 50.
Un aiuto all’applicazione delle nuove regole arriverà anche dal car sharing, per il quale imporremo ai gestori la velocità limitata automaticamente. Pensate a questo paradosso: perfino i monopattini hanno una tecnologia che adegua la velocità al limite nella zona in cui si trovano, mentre sulle auto non c’è nulla del genere. L’Amministrazione darà l’esempio: oltre allo sharing, tutte le vetture del Comune e delle società partecipate avranno tecnologie di limitazione. Insomma, promuoveremo un contesto che va più lentamente, aiutando le persone a modificare le proprie abitudini».
Come pensate di affrontare la questione dell’altissimo numero di veicoli circolanti, che è una caratteristica tipicamente italiana?
«È vero. Ad oggi, a Milano siamo a 50 auto ogni 100 abitanti, (sono 25 a Parigi): questo numero è incompatibile con l’idea di città che abbiamo in mente. L’obiettivo dell’Amministrazione è scendere a 40, io punterei anche a 35. A Milano la maggior parte dello spazio urbano è costituito dalle strade, occupato a sua volta principalmente dalle auto, circolanti o parcheggiate che siano.
È necessario incentivare i mezzi pubblici e addebitare la sosta anche ai residenti, che ad oggi occupano lo spazio pubblico senza pagare. So bene che è una misura impopolare, ma mi pare un passaggio inevitabile.
Dopo il Covid, le persone hanno sempre più voglia di riappropriarsi dello spazio pubblico e per liberarlo dalle auto la doppia leva dell’incentivo/disincentivo è il modo più efficace. Non sto parlando di fantascienza, a Tokyo non puoi immatricolare una macchina se non dimostri di avere uno spazio privato dove tenerla.
Un altro problema che dovremo gestire è quello della logistica leggera, i furgoni delle consegne, che sono cresciuti esponenzialmente durante la pandemia e che non sono certo destinati a diminuire. Insomma, dobbiamo fare i conti col fatto che non c’è spazio illimitato per tutti, e che occorre definire delle priorità».
Questi provvedimenti vengono spesso accusati di pensare solo al centro cittadino, come si relaziona il progetto con la periferia e con l’hinterland?
«Non vedo tanto il problema del centro, che già oggi è congestionato e consente velocita molto basse, in realtà avremo un impatto maggiore nei quartieri periferici. In questo momento però allargare la visione al resto dei Comuni della Città Metropolitana, che hanno una loro autonomia amministrativa, significherebbe allungare i tempi, mentre dobbiamo fare presto.
Non possiamo attendere anni per dare risposta a problemi ambientali e sociali che ormai sono impellenti. Noi intanto partiamo, quando si muove un comune importante come Milano anche per gli altri è più semplice fare passi avanti. Intanto chi è favorevole può accelerare verso il futuro, iniziando già oggi ad andare a 30 km/h».