Massimiliano Mazzotta è un regista salentino, che nel corso degli anni ha realizzato vari docufilm su ambiente e salute. Da “Oil“, il primo lungometraggio con il quale vinse l’Ecological Film Festival, al docufilm “Manfredonia, la catastrofe continuata” fino al recente documentario “Chemical Bros” sulla produzione e utilizzo del fluoro. Ha ascoltato, raccontato e unito tante lotte e tanti comitati locali, dando voce alle loro istanze. Oggi è anche direttore artistico di Life After Oil, festival cinematografico svoltosi in Sardegna pochi giorni fa.
Cosa vuol dire per te essere regista?
È un impegno civile oltre che un piacere. Quando vinsi il premio con Oil la motivazione di Giuseppe Ferrara, presidente di giuria, fu “per la rabbia militante con cui documenta la delittuosità di un sistema industriale” e rispecchia esattamente il mio modo di fare film. Il mio mezzo di comunicazione è l’immagine a 360 gradi, sia essa un video o una foto, con cui faccio arrivare il messaggio alla gente comune. Il cinema può fare davvero molto in tema di sensibilizzazione, denuncia e informazione, dando voce a chi non viene ascoltato, a chi vive nei luoghi più inquinati, a chi cerca ancora di ottenere giustizia e risarcimento, alle comunità ferite e tradite da un progresso insostenibile.
Alle proiezioni di “Chemical Bros”, dalla Sardegna a Vicenza, hanno partecipato vari comitati venendo a conoscere di altre realtà colpite dal ciclo produttivo del fluoro. Il documentario su Manfredonia invece è stato pianificato nell’ambito di una ricerca partecipata, con esperti di diversa provenienza e con i cittadini coinvolti.
Il mio cinema nasce dall’attivismo e lo stimola. Purtroppo devo constatare che quasi mai si ottiene giustizia per i reati ambientali.
A giugno nel comune di Villanovaforru, in Sardegna, si è tenuto Life After Oil International Film Festival, festival cinematografico di cui sei direttore artistico. Ci puoi raccontare come è nata l’idea di questo festival e che messaggio vuole portare?
Dopo aver girato i miei primi due film, Oil 1 e 2, invece di proseguire con il terzo documentario sulla “vita dopo il petrolio”, con il docente Antonio Caronia (che oggi purtroppo non c’è più) abbiamo pensato di realizzare un festival, dal titolo appunto Life after Oil. Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica con inchieste, sui rischi connessi allo sfruttamento e all’uso delle risorse naturali utilizzate per la produzione di combustibili fossili, ma vogliamo anche mostrare le alternative possibili. Un festival che si occupa in maniera specifica di ambiente e di diritti umani a livello internazionale, giunto alla sua decima edizione. Vogliamo raggiungere un pubblico sempre più vasto. Le proiezioni quest’anno si sono tenute in piazza a Villanovaforru, mentre alcuni film sono stati proiettati a scuola proprio per favorire la partecipazione.
Avete stretto buone relazioni con comuni e scuole?
Sì, in questi dieci anni tanti comuni hanno collaborato, piccoli e grandi, ma anche la Fondazione Sardegna Film Commission, Medicina Democratica e Fondazione Sardegna. E poi tutti gli istituti scolastici che sono stati coinvolti e che sono per noi fonte di maggiore ispirazione, perché siamo consapevoli che i giovani che li abitano oggi sono il nostro futuro.
Puoi presentare qualche esempio di film con tematiche ambientali selezionati durante il festival?
Si va dalla storia della miniera di ferro in un villaggio nepalese raccontata in “The Iron Digger” di Anil Budha Magar al documentario “Lagunaria” di Giovanni Pellegrini sulla laguna di Venezia, passando per l’inchiesta sullo stato dell’acqua in Bolivia al centro di “Be Water – Andes to Amazonia” di Julia Blagny e la fiction finlandese “Solar Wind Alley” di Anastasia Lobkovski sul tema dell’energia. I tre giurati della sezione sono l’attrice Marianne Borgo e la regista Mathilde Cusin, entrambe francesi, e il critico cinematografico indiano Ajit Rai.