Economia circolare, un concetto che si sta diffondendo su larga scala tra le persone, sempre più consapevoli che il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto. Cambiare il proprio stile di vita, abbracciando questo principio, aiuta infatti a ridurre la nostra impronta ambientale. Condivisione, scelte consapevoli, riuso: ecco alcuni dei temi al centro del nuovo saggio della giornalista e comunicatrice ambientale Letizia Palmisano “Sette vite come i gatti. Ridare valore agli oggetti. Storie di economia circolare” (edito da Città Nuova). Ho avuto il piacere di intervistare l’autrice per voi.
7 vite ma anche 7 capitoli, come hai scelto gli argomenti?
Sono partita dal guardarmi intorno, nel mio quotidiano. Ho cercato di individuare quei settori dei quali non si sa molto e quali buone pratiche siano effettivamente adottabili dalla maggioranza – ovviamente senza sovrappormi al libro pubblicato nel 2021 con Matteo Nardi, “10 idee per salvare il Pianeta, prima che sparisca il cioccolato”. Diciamo che ne ho approfittato per rispondere a tante domande che spesso mi arrivano agli eventi, via mail o sui social.
Qualche esempio?
Tutti ci vestiamo, ad esempio, ma chi sa come si riduce l’impatto ambientale del nostro armadio? O che non tutti i tessuti e le lavorazioni hanno la stessa impronta? Se ho un vecchio libro per il quale davvero nessuno ha più interesse e spazio, come si può dargli un fine vita ecosostenibile?
Devo poi ammettere che quando ho iniziato a scrivere il libro ad inizio 2022, l’elenco dei 7 capitoli era parzialmente diverso. Man mano che la scrittura andava avanti mi sono resa conto che la situazione con la pandemia stava andando verso una normalizzazione e che probabilmente si sarebbe tornati a girare il mondo. Ho così finalmente inserito il capitolo che tenni fuori da “10 idee”, quello dedicato ai viaggi.
Lo stile di scrittura dei capitoli è diretto e immediato, parti da racconti della tua vita personale per poi dare informazioni e dati. Il libro risente del tuo attivismo sui social?
L’idea è venuta a Matteo Girardi, il mio editor per Città Nuova. Ammetto che fino a quel momento la mia mente aveva per lo più lavorato per compartimenti stagni. Una cosa era la comunicazione social, attraverso la quale parlo direttamente alle persone con cui sono in contatto sul web, un’altra era il modo di pormi nei libri. Ho lasciato maturare l’idea per qualche giorno e poi ho capito che trasmettere l’empatia che spesso mi porta a realizzare un post sui social anche nel libro sarebbe potuta essere una chiave di ulteriore contatto con i lettori. A quel punto mi sono messa in gioco e tutto ciò è arrivato anche alla copertina nella quale ogni elemento racconta qualcosa di me – dall’amore per i gatti agli oggetti simbolo della mia vita.
Infine una domanda per la Letizia comunicatrice esperta. Come vedi il futuro delle professioni legate alla comunicazione ai tempi dell’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale mi ricorda molto il granchio blu. In entrambi i casi, i fenomeni non nascono oggi, sono solo diventati più evidenti i (possibili) problemi, quando forse sarebbe stato utile avere più tempo per capire come agire. L’AI è già alla base di tanti usi pratici che ci possono essere di aiuto, come il software che ci fa notare l’errore di battitura (e magari ci suggerisce l’alternativa). Ciò che oggi spaventa è il fatto di poter delegare a software la creazione di contenuti.
Io ho difficoltà a capire quali potrebbero essere i limiti e le opportunità ma, personalmente, mi sono convinta di una cosa. Una APP oggi riesce a scrivere testi bellissimi, probabilmente presto anche corretti dal punto di vista dei dati. Ma ciò che non può essere ancora è diventare la fonte primaria: credo perciò che i professionisti della comunicazione debbano puntare ancora più sulle proprie competenze ma anche sull’essere presenti fisicamente nei luoghi per una verifica in prima persona. Insomma, io la prendo come una nuova sfida…