Comunicare la sostenibilità è stato – e tuttora rimane – un’attività dai contorni ambigui. Da un lato, “sostenibilità” è infatti un concetto ampio, che auspica di toccare diversi temi e problematiche. Dall’altro, proprio a causa di questa ambiguità, è difficile per enti, imprese ed aziende, comunicare le proprie azioni virtuose senza incappare nel rischio – reale o presunto – di scivolare nel greenwashing.
È in questo spazio grigio che si inserisce l’azione della Commissione UE. Attraverso la direttiva “Corporate Sustainability Reporting”, la rendicontazione del bilancio di sostenibilità diventa infatti obbligatoria per un ampio numero di realtà. Detto in altre parole, le aziende saranno chiamate a rendicontare, misurare, monitorare e comunicare l’impatto sociale, ambientale e di governance degli impegni intrapresi. Le tempistiche dell’obbligatorietà variano a seconda di fattori come dimensione o fatturato. Nello specifico, accanto agli enti pubblici e alle aziende quotate in borsa, per cui già vige l’obbligo di rendicontazione, si aggiungeranno a partire dal 2026 le imprese con oltre 50 milioni di fatturato, più di 250 dipendenti e un bilancio annuo di almeno 43 milioni di euro.
L’obbligatorietà del bilancio di sostenibilità getta le basi per una potenziale rivoluzione nel campo della comunicazione ambientale. Da un lato, il bilancio di sostenibilità assicura un ulteriore strumento chiaro, affidabile e sicuro, affinché i consumatori possano comparare le proposte non solo di prodotto, ma anche valutando i valori aziendali attraverso le azioni concrete in campo ESG. Dall’altro, permette di implementare una reale fiducia nelle strategie di marketing, aprendo forse la porta a nuove vie per una comunicazione innovativa nella forma, perché affidabile nella sostanza.