Gli attivisti per il Neretva prendono esempio dai successi per la tutela del Vjosa, in Albania.
I paesi balcanici, come l’Italia, sono territori attraversati da numerosi fiumi e questi creano spesso paesaggi meravigliosi da difendere e valorizzare. Nella sola Bosnia-Erzegovina troviamo la Drina, la Sava e l’Una oltre al più importante della regione, la Neretva, fiume lungo 225 km minacciato da diversi progetti edili.
Lungo il suo corso, che tra le altre attraversa la cittadina di Mostar e il suo celebre ponte, è infatti da anni in programma la costruzione di diverse centrali idroelettriche che potrebbero danneggiare irrimediabilmente il fragile ecosistema presente. Ciò ha provocato le polemiche di molti attivisti e diverse ONG locali tutte facenti parte della “Coalizione per la protezione dei fiumi in Bosnia-Erzegovina”.
Secondo Amir Variscic, di Zeleni Neretva, il progetto Upper Horizons che prevede la costruzione di una serie di infrastrutture energetiche, porterà al prosciugamento totale di tre affluenti della Neretva (Buna, Bunica e Bregava). Forte rischio, dunque, per l’ecosistema che vive intorno al fiume, che è unico al mondo e può vantare specie di flora e fauna selvatiche autoctone, oltre alla presenza di campi carsici anch’essi a rischio di distruzione.
Tali irrimediabili danni sono già in parte realtà poiché nel 2017 alcuni attivisti hanno segnalato la scomparsa della popolazione ittica dal lago Jablanica e ciò a causa della veloce moltiplicazione di centrali idroelettriche costruite lungo il corso del fiume.
Per gli attivisti bosniaci c’è però un esempio positivo di protesta di stampo ambientalista ed è più vicino, sia temporalmente sia geograficamente, di quanto si possa pensare. Si tratta del fiume Vjosa, che nasce in Grecia, ma scorre in Albania per oltre 250 km e che in passato è stato scelto come destinazione di oltre 45 centrali idroelettriche. Le proteste di tanti cittadini e ONG albanesi non hanno però soltanto bloccato i progetti di costruzione, ma sono riusciti a proporre un’alternativa valida e credibile che ha convinto anche il primo ministro Edi Rama.
La scelta di creare un parco nazionale in alternativa alla costruzione delle centrali idroelettriche è nata con la campagna mediatica “Save the Blue Heart of Europe” sostenuta da importanti ONG albanesi e greche e dall’azienda Patagonia, che nel 2019 ha anche realizzato un documentario sull’argomento.
In questo caso particolare il primo ministro albanese ha avuto un ruolo centrale ed il suo governo. Dopo aver firmato un memorandum d’intesa con cui si impegnava a collaborare con le ONG e con l’importante azienda statunitense, ha poi sancito la nascita ufficiale del parco nazionale nel Consiglio dei Ministri del 13 Marzo 2023.
Oggi l’intera zona attorno al fiume e ai suoi quattro affluenti è diventata un Parco nazionale. “Vjosa Wild River” copre 12.727 ettari di terreno e oltre 1.100 specie animali, tra cui alcune a rischio di estinzione. Il risultato ottenuto in Albania dimostra quindi come sia possibile anche in Bosnia-Erzegovina preservare la Neretva rilanciando una proposta di più ampie vedute rispetto a quella attualmente sul tavolo del governo.
Il quadro politico e istituzionale bosniaco è certamente più complesso di quello a Tirana, a partire delle due entità statali spesso in contrapposizione. Tuttavia, anche sotto questo aspetto, l’esempio albanese può essere rassicurante perché nasce da un dialogo e dalla sinergia tra Albania e Grecia. Tale collaborazione sia politica, sia a livello di attivismo ambientalista, potrebbe essere auspicabile in futuro anche tra Sarajevo e Tirana.
Cover image: Fiume Neretva, free pic.