La convivenza con i lupi è per l’essere umano da sempre un tema di una certa importanza. Come difendersi e interagire con questo animale è un argomento di discussione anche in Italia, dove sono stimati circa 3000 esemplari sparsi lungo tutto il territorio, soprattutto a ridosso delle due catene montuose. Tema attuale, tanto che in Unione Europea si è tornati a discutere delle regole di protezione del lupo. Ne abbiamo parlato con il Presidente del WWF di Parma, Rolando Cervi.
Qual è il ruolo del WWF per quanto riguarda il tema della convivenza con i lupi?
Come WWF nel tempo ce ne siamo spesso occupati, anche perché a Parma la questione è stata particolarmente dibattuta. Qui non abbiamo un impatto spaventoso sulla zootecnia perché rispetto ad altre zone d’Italia c’è meno pastorizia, però l’argomento periodicamente però torna di attualità e certa parte della politica ovviamente lo cavalca.
Il WWF per quanto riguarda i lupi ha una storia perché all’inizio degli anni ’70 partì il progetto San Francesco assieme all’Università di Roma La Sapienza. Quello fu il punto di partenza di tutta l’attività di conservazione che portò poi a salvare i lupi in Italia. In quel momento c’erano poche decine di esemplari in alcune zone dell’Appennino meridionale e la specie era destinata ad estinguersi. Cacciata senza regole per i cent’anni precedenti, ne era addirittura incentivato il prelievo. Questo progetto di conservazione con a capo appunto il WWF ebbe molto successo e portò alla salvezza della specie nel nostro paese e alla sua naturale nuova diffusione. Specifico: il lupo in Italia non è mai stato reinserito artificialmente, come viene raccontato da alcune fake news che ogni tanto girano. Il lupo è tornato a diffondersi in maniera del tutto naturale in seguito ad una politica di conservazione, agevolata poi da altri fattori.
A quali fattori ti riferisci?
Sicuramente la progressiva diminuzione delle attività umane nelle zone di alta montagna, che ha creato un habitat particolarmente favorevole. A questo si aggiunge una massiccia e scriteriata introduzione dei cinghiali a scopo venatorio che ha portato all’attuale situazione disastrosa, ma che ha d’altra parte favorito il processo di crescita. Il cinghiale, la cui presenza in Italia è stimata nell’ordine di grandezza dei milioni di esemplari è, assieme al capriolo, la principale e preferita preda del lupo.
In seno alla Commissione Europea, c’è una discussione che verte sull’abbassamento del regime di protezione del lupo, attualmente “particolarmente protetto”. Cosa ne pensi?
Secondo me la questione ha un valore più culturale e politico. In Italia la specie gode di buona salute al momento, ma non si parla mai, volutamente e in malafede, del fatto che nel nostro paese il 10% degli esemplari (circa 300 esemplari all’anno) viene ucciso dall’uomo, in parte in maniera accidentale, ma in buona parte in modo illegale: fucilate, lacci, trappole e bocconi avvelenati. Si tratta di un numero enorme che esiste solo in Italia, in altri paesi europei il bracconaggio è quasi sconosciuto. Le osservazioni che si fanno dimostrano come l’aspettativa di vita di un lupo in Italia sia la metà rispetto ad altri paesi europei.
Anche se potessimo permetterci di togliere il regime di protezione attuale perché la specie è comunque in salute, in realtà ciò non servirebbe a niente. Secondo me, tutta questa energia comunicativa, politica e culturale andrebbe invece spesa per fare convivenza perché è possibile — non lo dico io, ma lo dicono i dati. Ci sono alcune cose, poche e molto semplici, che si possono fare e dove sono state fatte hanno ridotto i problemi notevolmente.
Quali sono le più importanti raccomandazioni in tal senso?
Sto parlando di cani da guardia, recinzioni con determinate caratteristiche, evitare di lasciare cibo a disposizione dei lupi – usanza abbastanza comune nella nostra zona intorno a Parma, che facilita la predazione degli animali domestici. Poche cose che servirebbe fare, o smettere di fare: su queste servirebbe il grosso investimento, non nel discutere se abbassare di un gradino, di due oppure di niente il livello di protezione che, soprattutto in Italia, è virtuale.
Quali sono i problemi principali della proposta di cambiamento della attuale legge europea?
Nell’immediato abbassare il livello di protezione del lupo è un danno perché lancia un segnale sbagliato. In Italia già oggi le pene per l’uccisione illegale di un lupo o la detenzione illegale, altro problema abbastanza diffuso e di cui invece si parla pochissimo, sono tutt’altro che severe. Così lanci il segnale che da domani sei ancora più libero di fare quello che vuoi.
La questione della convivenza con i lupi è reale e quando la si affronta in modo corretto si riesce a ridurre molto il problema, ma purtroppo il tema non è appetibile. Lo status di protezione, che è invece molto più appetibile politicamente, temo non risolverà nessuno dei problemi. Finché la protezione è alta, ad un problema rispondi con altri strumenti diversi dall’abbattimento. Se abbassi la protezione, ad un’eventuale minaccia rispondi di riflesso con una richiesta di prelievo in deroga. Questa è la mia sensazione e di molti degli addetti ai lavori. Anche come WWF, siamo fermamente contrari all’abbassamento dello status di protezione.