È venerdì 15 marzo. Negli ultimi giorni non si parla d’altro. Flotte di scolaresche migrano dalle proprie scuole accompagnate dalle maestre per dirigersi verso le piazze del centro, sembra una grande festa. Decine e decine di cartelli di cartone. La piazza è piena di persone di tutte le età.
Siamo nelle più importanti città italiane ed è il 15 marzo 2019: 235 raduni in tutta la penisola. Sono passati cinque anni dalla prima e più grande manifestazione del movimento “Fridays for Future”. Una giornata in cui ben 123 Paesi in tutto il mondo si trovarono a scioperare e 2052 città furono attraversate da manifestazioni.
«Please, strike with us», «Per favore, scioperate con noi»: questo era l’appello. 5 anni dopo, la pandemia, i conflitti e le invasioni ci portano a considerare davvero lontano il periodo delle grandi manifestazioni guidate da Greta Thunberg. Cosa ci rimane oggi di quel periodo?
Conosciamo bene la potenza generata da quel movimento, che scosse il mondo ma anche le stesse realtà della comunicazione ambientale. Un vero caso studio di natura completamente bottom-up. La necessità e l’urgenza che vibrava dai discorsi è tutt’altro che risolta: la giustizia ambientale e sociale rimane una delle sfide, se non proprio la sfida, del secolo che stiamo vivendo.
Il movimento non è spento, ma la quantità di persone coinvolte e la portata mediatica avuta rappresentano oggi un apogeo. Al contempo, si potrebbe comunque dire che ciò che ha segnato Greta Thunberg e quella stagione sia oggi più che mai la via da percorrere. Con le condizioni giuste (motivazione, strutturazione e guida), ciò che è successo nel 2019 si può ripetere, perché le cause che hanno portato così tante persone a manifestare non sono mutate.
Le ragioni che nel campo della comunicazione hanno portato a questo affievolimento meritano attenzione. Un’analisi senz’altro vastissima, alla quale però nulla vieta di condividere qualche spunto di riflessione.
Il primo può essere definito come la “ciclicità della ribalta”: è difficile mantenere la stessa intensità mediatica con qualunque tipo di notizia, come insegna Andy Warhol. Seppur l’urgenza sia rimasta, i media e certe fasce di popolazione potrebbero aver percepito il decorrere del fenomeno all’allontanarsi dei maggiori clamori.
Successivamente, i fattori esogeni. La pandemia di Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina hanno monopolizzato l’attenzione pubblica, scombinando molti progetti in maniera irreversibile, con la necessità di riprogettare molti schemi globali.
Come non citare anche il tema della “ciclicità del movimentismo”. Un ciclo che vede la nascita dal basso, la diffusione con la presenza di elementi, anche randomici, che ne fanno scaturire la viralità, traducendosi in grandi manifestazioni: a questo punto l’eco mediatica massima arriva e incorpora anche diversi target di pubblico “general-generico”. Passata l’ondata della notorietà diffusa “da prima pagina”, rimane all’interno di esso l’ala più radicale, meno incline al compromesso. Come, in quest’ottica, può essere definita Extinction Rebellion, l’aggregato più puro e massimalista, parte di una tenace resistenza climatica.
Ultimo, ma non per importanza, il ruolo di Greta Thunberg e la struttura del Friday For Future. Cosa si può dire su quello che hanno fatto dopo il 2019? Greta, terminato lo scorso anno il ciclo scolastico, ha progressivamente lasciato il ruolo di front-leader, ponendo sempre davanti i temi. Fridays For Future è dunque un progetto vivo e socialmente attivo in tutto il mondo, trascinato da giovani che si trovano al cuore delle iniziative. Un gigante che aspetta solo un nuovo divampare per tornare come cinque anni fa?
Immagine di copertina: picture-alliance/AP Photo/R. Remiorz