Il termine “climate friendly” compare in molti contesti. Giornalisti ed esperti di comunicazione lo usano per descrivere prodotti oppure strategie commerciali di certe aziende. O ancora, per presentare alcuni grandi eventi. Prendiamo ad esempio il Super Bowl 2024. La finale del campionato statunitense di football è stata infatti descritta come “l’edizione più climate friendly che ci sia mai stata”.
Per la prima volta, questa partita è stata ospitata in uno stadio, l’Allegiant Stadium di Las Vegas, alimentato interamente da energie rinnovabili, fornite da un vasto impianto solare del deserto del Nevada. Lo sforzo del Super Bowl per essere una manifestazione “green” è stato sottolineato da una visita della Segretaria all’energia statunitense, che ha evidenziato l’affidabilità delle energie rinnovabili, in grado di alimentare l’evento sportivo più seguito negli Stati Uniti.
Ma queste dichiarazioni sulla sostenibilità del Super Bowl corrispondono alla realtà? Per misurare l’impatto di questo evento si dovrebbero considerare anche altri parametri?
Secondo la newsletter Heated, pubblicata da Emily Atkin e Arielle Samuelson, utilizzare l’espressione “climate friendly” per descrivere l’ultima edizione del Super Bowl è inadatto e fuorviante. Le due giornaliste sottolineano come l’utilizzo di energia solare non basti per poter definire green questo evento. La gran parte delle emissioni del Super Bowl non derivano dalla gara in sé, ma da eventi correlati.
Dal Washington Post sappiamo che per questa edizione sono arrivati a Las Vegas 882 jet privati durante il weekend, il secondo numero più alto di sempre per la manifestazione. Questi spostamenti hanno un grande impatto: secondo il ricercatore Ralf Roth, circa l’85 per cento delle emissioni di un grande evento sportivo è causato dagli spostamenti dei tifosi.
Un palcoscenico come il Super Bowl attira inoltre enormi investimenti pubblicitari da parte delle maggiori aziende mondiali, che realizzano spot pubblicitari con l’obiettivo di migliorare la loro reputazione ambientale.
Ne è un esempio Unilever, che durante la partita del 2024 ha trasmesso uno spot della maionese Hellmann’s con lo slogan “make taste, not waste” per incoraggiare i consumatori a ridurre i rifiuti e lo spreco di cibo. Tuttavia, secondo un report di Greenpeace, Unilever è una delle aziende che produce più rifiuti di plastica al mondo: circa 698.000 tonnellate nel 2022, di cui la gran parte composte da confezioni monouso.
In più, secondo la piattaforma pubblicitaria Good Loop, le inserzioni trasmesse durante il Super Bowl del 2021 hanno prodotto circa 2 milioni di tonnellate di CO2: 67 spot pubblicitari dell’evento hanno generato 6,3 miliardi di visualizzazioni televisive e 64 miliardi di visualizzazioni sui social.
Anche la National Football League (NFL), la lega che organizza il campionato di football, vuole mostrarsi al passo con i tempi e far vedere la sostenibilità dei suoi eventi. Tuttavia, è bene prestare attenzione ed analizzare la comunicazione ambientale legata ai grandi eventi.
In sintesi, dunque, sappiamo che un evento di dimensioni planetarie come il Super Bowl attira l’attenzione e l’interesse degli spettatori ed è una buona occasione per pubblicizzare le strategie ambientali delle aziende. Tuttavia, utilizzare il termine “climate friendly” per descrivere quest’ultima edizione del Super Bowl riferendosi solo all’utilizzo di energie rinnovabili rischia di essere inadatto. In questo caso e in molti altri, il suggerimento è quello di considerare più fattori a livello comunicativo per la reale valutazione del loro impatto.