Alla prima edizione della Biennale di Malta, attiva dal 13 marzo al 31 maggio, l’artista Teresa Antignani ha esposto un’opera dedicata alle donne del Mediterraneo.
L’opera monumentale dal titolo Deposizione (Deposition) racconta la storia di Jean Paul Sofia, un ventenne morto per il crollo di un cantiere edile il 3 dicembre 2022, a Kordin, Paola.
Sua mamma Isabelle Bonnici, è diventata il simbolo della lotta per la giustizia, tramite la richiesta di una pubblica inchiesta volta ad accertare le responsabilità dei morti di quell’incidente e non solo.
Abbiamo incontrato Teresa e parlato con lei:
Dopo il Martyrion Project, questa opera. Che funzione ha l’arte per te?
Ho sempre faticato a concepire l’arte come un dominio a sé e ho sempre pensato che fosse inscindibile dalla vita politica e sociale. Credo che l’arte possa essere uno strumento potentissimo di testimonianza, che consente una convergenza di istanze capace di fornire uno sguardo critico sul presente. Personalmente direi che si pone come necessità.
“Deposizione” (270 x 500 cm), olio su tela, nella sezione dedicata al Matri Archivio del Mediterraneo, è esposta nelle ali del Gran Master Palace. Di cosa parla questa opera?
L’opera è ispirata formalmente alla celebre “Deposizione di Volterra” di Rosso Fiorentino (1521) da cui riprendo la posa del celeberrimo “Cristo verde”.
Come spesso accade, ad attirare la mia attenzione sono storie di vita che in qualche modo hanno segnato la loro comunità di appartenenza innescando processi collettivi di presa di coscienza.
Nel caso maltese, fin dal primo momento avevo notato uno striscione affisso dal Movimento Graffiti di fronte al palazzo del governo maltese che recita “justice for Jean Paul Sofia“.
Ho cominciato a studiare e a cercare fonti fino ad imbattermi nella figura di sua madre Isabelle Bonnici, che è diventata il simbolo di un riscatto non ancora realizzato.
Ho applicato il metodo che utilizzo anche nel progetto Martyrion: unire lo studio dei dati oggettivi alla storia personale di chi lotta. Così a Malta è nata una “Deposizione” ambientata in un cantiere, per raccontare un momento di fortissima tensione emotiva, allo stesso tempo intima e pubblica, particolare ed universale, di dolore e resistenza.
Un’opera di denuncia non solo sociale, ma anche ambientale.
Le due cose non possono essere scisse. Ogni aggressione all’ambiente e ai territori è un attacco diretto ai corpi che vivono i luoghi della depredazione. Quando si parla di inquinamento non si può parlare in maniera esclusiva di ambiente: l’inquinamento penetra nei tessuti sociali, nella rappresentanza politica, nel modo di pensare delle persone.
Nel caso maltese la prima vera urgenza sull’isola riguarda la devastazione ambientale, il consumo sfrenato di suolo e i ritmi insostenibili delle attività estrattive che stanno letteralmente mangiando l’isola.
I dati sono drammatici. Il consumo di suolo dell’intera isola di Malta avanza senza freni, fuori da ogni controllo: dall’ultima indagine condotta da Eurostat, e come possiamo leggere sul Corriere di Malta, l'arcipelago si è piazzato al primo posto in tutta l’UE per il tasso di cementificazione e impermeabilizzazione.
Un rapporto del PILN (Public Interest Litigation Network), pubblicato a giugno 2023, “Victims of Malta’s Construction Boom” ha rilevato che tra il 2010 e il 2022 almeno 49 lavoratori sono morti mentre lavoravano in cantieri edili. Alla tragedia in termini umani si aggiunge la devastazione ambientale.
Come si può leggere in questa opera la denuncia eco-femminista?
Questo Gesù insolitamente trasposto al femminile e deposto dalla croce racconta proprio questa denuncia. Nelle opere che propongo, il corpo è un elemento centrale che si manifesta in tutta la sua potenza.
Trovo che questo sia il fulcro delle lotte per la tutela ambientale e non solo. Quando il contrasto a un sistema di potere che avalla e asseconda la distruzione sistematica di interi ecosistemi non è sufficiente, non resta che diventare corpo, massa critica, corpo politico, tutt’uno con l’ambiente.
È forse uno dei temi centrali della mia rappresentazione pittorica che porta con sé le influenze delle riflessioni eco-femministe dei movimenti di tutela ambientale che ho incontrato lungo il mio percorso insieme a una forte componente autobiografica.
Questo è quello che succede con le opere Martyrion: le sante martiri tornano col loro corpo a riprendersi i luoghi colonizzati dai colossi industriali e a rendere pubblico tutto il dolore provocato dalle emissioni di impianti, dalle infiltrazioni di rifiuti, da cantieri non in sicurezza.
[Ne abbiamo parlato nell’articolo “Mamme per la Salute e l’Ambiente” di Venafro: attivismo e comunicazione N.d.R.]
In tutta la mia produzione artistica tendo a rivisitare molti temi della storia dell’arte e della religiosità in chiave femminile, per dare concretezza a una visione che non può restare solamente teorica.
Come è stato accolto dal pubblico e dalle istituzioni?
Tornerò presto a Malta per capirlo davvero e incontrare Isabelle Bonnici e le associazioni che portano avanti la loro esperienza di lotta e denuncia.
Al momento posso solo dire di essere felicissima di avere questa possibilità. Costruire legami umani di qualità e condividere momenti di empatia profonda è forse l’unico modo di realizzare in parte l’utopia di una nuova alba.