Si chiama solastalgia, un disturbo conosciuto meglio come ecoansia, ed è relativo alle conseguenze traumatiche e psicopatologiche che gli eventi legati alla crisi climatica possono avere sulle persone.
A maggio 2024 è iniziato uno studio in merito, promosso da Greenpeace Italia, ReCommon, Unione degli universitari (UDU) e Rete degli studenti (RdS). Con il supporto scientifico dell’Istituto Europeo di Psicotraumatologia e Stress Management (IEP) si svolge nell’ambito della campagna “Chiedimi come sto”, nata nel post pandemia in Italia per prendersi cura della salute mentale dei giovani.
Attraverso la compilazione di un questionario, l’indagine si sta svolgendo nel corso dei mesi all’interno di scuole e università, ma anche con la libera compilazione online, per raggiungere un vasto bacino di partecipanti.
Nel questionario sono state inserite domande e considerazioni per conoscere quali conseguenze hanno gli eventi naturali estremi, causati dal cambiamenti climatico, sulla salute mentale dei giovani.
La preoccupazione e la paura possono innescarsi sia nel momento di cui si vivono direttamente gli effetti cambiamento climatico, ma anche indirettamente, di fronte alla comprensione di una situazione in cui ci si sente coinvolti ed esposti.
La percezione di un pericolo, concreto o potenziale, può generare disturbi e modalità di approccio alla quotidianità differenti, come ad esempio ansia, depressione, pessimismo, perdita di speranza riguardo al futuro.
«L’obiettivo di questo studio è proprio quello di rimettere al centro la questione climatica e le conseguenze che ha sulla salute mentale dei giovani. Non possiamo più aspettare, la solastalgia deve essere riconosciuta», dichiarano l’UDU e l’RdS.
L’indagine ha per questo la finalità di comprendere le conseguenze psicologiche della crisi climatica, valutando le priorità da riportare all’attenzione.
«Questo studio ci permetterà di acquisire dati basati sulle evidenze scientifiche al fine di sensibilizzare le istituzioni politiche affinché adottino misure pratiche a sostegno delle presenti e future generazioni», dichiara Rita Erica Fioravanzo, presidente dell’IEP, con la speranza che «uno studio di questa importanza svolto in Italia potrà inoltre costituire un modello da replicare nei Paesi del Mediterraneo massimamente afflitti dalle disastrose conseguenze del cambiamento climatico».