Scrittura, riprese, postproduzione. Tempo a disposizione: dieci giorni. Questa è la sfida che hanno accolto nel mese di giugno dieci registi internazionali, chiamati a raccontare il territorio del Monferrato.
Ospiti di Casa Arcasio, villa del XV secolo di Cassine, uno dei borghi che insieme ai vitigni circostanti costituiscono il sito Langhe-Roero e Monferrato, Patrimonio UNESCO.
Registi e registe che da tutto il mondo hanno accolto l’invito dell’associazione Quindici19 per partecipare al progetto Duemila30 Lab con l’obiettivo di portare a termine (in soli dieci giorni) cinque cortometraggi ispirati al territorio.
Lorenzo Biferale, fondatore e presidente dell’Associazione romana, racconta questo laboratorio come un nuovo esperimento, che nasce dallo spirito dell’omonimo Festival, da loro organizzato a Milano da ormai sei anni.
«Abbiamo chiamato dieci giovani registi professionisti che hanno preso parte alle edizioni del nostro Festival. Per dieci giorni, abbiamo proposto un programma di visite e incontri con le persone del luogo, per permettere loro di scrivere i cortometraggi con un grande coinvolgimento del territorio e della comunità locale», commenta Lorenzo, «Vogliamo occuparci di cinema, impatto sociale e sostenibilità, concepita in tutte le sue sfaccettature. Il Lab ha permesso di far emergere questo».
Si è parlato anche di ambiente? Inevitabile.
Lorenzo ci mette subito in contatto con Pedro Pablo, regista messicano trapiantato da qualche anno in Italia, che ha dedicato il suo lavoro all’attivismo sul territorio contro l’insediamento di un deposito unico nucleare: «È una questione che io non conoscevo. È un tema che parla molto del particolare, ma anche dell’universale. Mi è sembrato interessante lo sguardo di Cassine sulla questione ambientale: per dieci giorni, mi sono avvicinato alla tematica, ho ascoltato le persone e ho visto quei posti con i loro occhi. Posso dire che mi sono lasciato vivere dal territorio».
Pedro decide di produrre un cortometraggio che unisce il documentario alla finzione, cercando di concentrare l’attenzione sugli sguardi, sulle paure, sull’acqua come risorsa preziosa. L’atmosfera di avvelenamento, nel corto, lascia spazio alle parole di Manu Gea, attivista che Pedro ha incontrato proprio nella sua breve permanenza monferrina.
«Proprio in quei giorni di giugno, Manu stava facendo una peregrinazione lungo il territorio per parlare del deposito unico nucleare», continua Pedro, «Incontro incredibile, la dovete conoscere».
Manu Gea è lo pseudonimo che l’attivista ha scelto per evitare il personalismo. Il suo cammino parte da lei, ma porta le istanze del Comitato Tutela Val Bormida di cui fa parte: «Non mi sono distaccata dal gruppo, ma ho deciso di portare una lotta diversa. Sento che ci troviamo in un sistema più liquido, veloce, social. Mi sono svegliata una mattina con alcune consapevolezze: la prima è che non tutti conoscono il problema cui possiamo incorrere. La seconda è che mi piace camminare. Ho deciso dunque di attraversare i Comuni di quest’area per raccontare la loro bellezza, sensibilizzare in maniera semplice, lavorando “con” e non “contro”», ci racconta Manu.
Un attivismo che porta con sé una grande coscienza comunicativa. È una tendenza, quella di camminare, fare trekking, pratiche meditative. L’idea è di veicolare il messaggio con positività, cercando di attivare altre persone a incamminarsi – anche metaforicamente.
Mettersi in cammino vuol dire creare incontri e sincronicità. Un concetto che Manu apprende proprio lungo la via, dove trova Devis Zamburliin (co-ideatore Strada Franca del Monferrato) con cui ha condiviso tre giornate di viaggio che hanno avuto particolare successo sui canali social: «Si sono unite anche altre persone. Tutta questa esperienza è per me un continuo incontro di anime. Non so se sia la strada giusta, ma per mia natura non posso fare altrimenti. Cerco di farlo insieme alle persone, alle pubbliche amministrazioni e alla scienza, raccontando ricerche e studi sull’impatto di un deposito unico nucleare».
L’invito di Manu Gea è quello di tornare a fare politica antica, ovvero la cosa comune, con la co-partecipazione di chi la pensa diversamente da noi: «È una missione di fiducia».
Un mondo di immagini e la sfida di raccontarle. Duemila30 Lab è un progetto che fa esplodere tutte le possibilità dello storytelling: «Sono stato molto stimolato dal programma di Quindici19 e Casa Arcasio. Il confronto con gli altri registi, le sessioni di brainstorming e gli scambi costanti di pensieri sono nel film», conclude Pedro Pablo, ricordando che a breve comincerà la distribuzione dei cortometraggi.
Duemila30 | Comitato Tutela Valle Bormida | Manu Gea