UK, il nuovo governo dovrà affrontare i temi ambientali

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Le elezioni in Gran Bretagna lo scorso 4 luglio hanno segnato una svolta politica per il paese. Dopo 14 anni torna al governo un Primo Ministro laburista, Sir Keir Starmer.

Gli ultimi confusionari anni di governo conservatore hanno certamente facilitato il lavoro dei laburisti, che hanno potuto contare sulla forte voglia di cambiamento dei britannici, trasformata in voto all’interno della cabina elettorale.

Starmer, cosi come il suo avversario ex primo ministro Rishi Sunak, durante la campagna elettorale si è concentrato sui temi di maggiore interesse collettivo, come il costo della vita, l’assistenza sanitaria e l’immigrazione, lasciando a margine i temi ambientali.

Una decisione inappropriata, dato che la crisi climatica in atto ha prodotto in Gran Bretagna negli ultimi cinque anni condizioni meteorologiche estreme e frequenti inondazioni.

Nel programma di governo Starmer aveva inserito un piano per decarbonizzare il paese ed accelerare in modo massiccio l’introduzione delle energie rinnovabili e dell’energia nucleare.

Già nei mesi precedenti alle elezioni tale piano si è però progressivamente ridimensionato anche a causa delle questioni economiche post Brexit: dai 28 miliardi auspicati a febbraio siamo arrivati agli attuali 5, spalmati nei prossimi 5 anni.

Contestualmente i laburisti intendono dare vita ad una nuova società pubblica, la Great British Energy, per raggiungere l’obbiettivo di azzerare le emissioni di carbonio nella produzione di energia elettrica entro il 2030. L’investimento previsto è di 8,3 miliardi di sterline.

Per azzerare le emissioni di CO2 sarebbe però necessario anche porre fine alle trivellazioni già in atto nel Mare del Nord, ma sul tema il nuovo governo britannico è rimasto molto ambiguo.

La promessa di non rilasciare nuove licenze non è stata infatti accompagnata da maggiori rassicurazioni riguardo anche la revoca di quelle già approvate da Sunak. Queste nel settembre scorso avevano sollevato molte critiche soprattutto da parte di associazioni e partiti ambientalisti.

In particolare, l'attività estrattiva nel giacimento di Rosebank, che dovrebbe cominciare nel 2026-2027,  secondo Greenpeace immetterebbe nell'atmosfera circa 28 milioni di tonnellate di diossido di carbonio (CO2) quantità paragonabile a quella prodotta in un anno dall'intera Danimarca.

Nel Regno Unito come in molti altri paesi europei, compresa l’Italia, la sensazione è che la politica si muova su questi temi senza troppa urgenza e senza volersi sbilanciare, sia sul piano economico che su quello ideologico.

Tutto ciò va però in controtendenza con la realtà delle cose: è ormai chiaro che l’inazione a costi molto maggiori rispetto a quelli delle politiche green da mettere in atto.

Secondo gli ultimi sondaggi, svolti da You Gov, nello stesso Regno Unito due terzi degli elettori sono preoccupati per il cambiamento climatico e altrettanti sono convinti che la politica non stia facendo abbastanza per fronteggiare questo problema.

La netta maggioranza parlamentare ottenuta dai laburisti a luglio rappresenta una grande occasione per mettere in atto politiche ambientaliste.

Tale aspettativa è condivisa anche da moltissimi esperti della comunità scientifica che hanno firmato una lettera indirizzata ai leader dei principali partiti per esortarli ad adottare politiche ambiziose, rispettando gli obblighi internazionali, e che possano preparare il Paese all’emergenza climatica ormai imminente.

Immagine di copertina: www.lincsonline.co.uk