Nel mondo della moda, in particolare nell’industria dell’abbigliamento, la tintura dei tessuti è una delle fasi di lavorazione con il maggiore impatto sull’ambiente, provocando un sostanziale inquinamento.
Le attuali tecniche spendono un’enorme quantità d’acqua, che inoltre, a fine lavorazione, non è più fruibile, perché mescolata con tinture, metalli pesanti e sostanze chimiche utilizzate per fissare il colore.
Secondo lo statunitense World Resources Institute, l’industria dell’abbigliamento utilizza infatti circa cinque trilioni di litri d’acqua ogni anno solo per tingere i tessuti.
Il tema dell’inquinamento dell’acqua è ostico: benché alcune delle sostanze chimiche per la tintura siano oggi proibite in Europa, queste possono essere utilizzate liberamente in Cina, Bangladesh e India, causando non pochi problemi a chi vuole indossare capi d’importazione.
La situazione è andata peggiorando negli ultimi anni con la fast fashion, un modello di business basato sull’acquisto di capi d’abbigliamento a prezzi stracciati, dove le mode si rinnovano molto rapidamente.
Solo nell’Unione Europea si gettano via circa 5 milioni di tonnellate di vestiti (circa 12 chili per persona) e nel mondo circa il 25% dei capi di abbigliamento rimane invenduto.
Si è affrontato il tema in Italia quasi esclusivamente da riviste specializzate, e tra queste Vogue Italia che già nel 2019 metteva in risalto il problema e portava però anche possibili soluzioni. Tra queste i materiali bio-ispirati ovvero con batteri o microbi capaci di produrre pigmenti di colore.
Il blog That’s Green sottolinea anche i problemi sociali legati al mercato della moda. Nei paesi dove è concentrata la manodopera, i lavoratori sono gravemente sottopagati e vengono a contatto con sostanze tossiche che creano danni spesso trasmettibili anche alle generazioni future.
Le acque di scarto inoltre, sono riversate illegalmente nei fiumi e le sostanze all’interno possono avere ripercussioni su chi utilizza quel fiume per lavarsi, bere o pescare.
A marzo 2024 anche Greenpeace ha denunciato questa situazione accusando i marchi più importanti di nascondersi dietro una finta moda “riciclata e riciclabile” da spacciare come soluzione ai gravi problemi ambientali che la fast fashion sta producendo.
Secondo la stessa organizzazione non governativa: «promettere una moda sostenibile è un totale controsenso se poi la maggior parte dei capi di abbigliamento viene realizzata con materiali inquinanti come il poliestere. Il sistema distruttivo del fast fashion non potrà mai essere sostenibile».
La questione è entrata a far parte anche del Green Deal europeo approvato dal Parlamento di Bruxelles nel giugno del 2021. Il testo affronta la questione della fast fashion e si pone l’obbiettivo di rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili.
Si è posta inoltre la questione intorno alla comunicazione e al marketing ingannevole.
La direttiva, denominata Anti-Greenwashing Plan, vieta una serie di pratiche commerciali e strategie di marketing come l’uso di indicazioni ambientali generiche, ma non supportate da prove. Sono esempi di greenwashing diciture come “rispettoso dell’ambiente”, “verde”, “naturale” o “biodegradabile”.
Esiste però un caso positivo a Taiwan, dove Endeavour, una piccola start-up inglese, sta collaudando il primo processo di tintura digitale al mondo in grado di diffondere i coloranti nel tessuto molto rapidamente e con massima precisione.
Il risparmio di acqua dichiarato dalla stessa azienda è del 95%. Simile il lavoro dell’azienda tessile cinese NTX, che ha sviluppato un processo di tintura senza calore, per ridurre l’uso di acqua del 90%.
Le alternative con un minore impatto ambientale sono sempre di più e sono arrivate anche nei paesi produttori come Cina e Taiwan. Ottimo dunque concentrarsi sulla comunicazione e la sensibilizzazione a riguardo.
L’Italia, patria delle grandi firme della moda, è vittima anch’essa della fast fashion. Si rende dunque necessaria una maggiore informazione circa la filiera del tessile per portare sempre maggiore consapevolezza negli acquisti, evitando condizionamenti legati ai periodi dei saldi o a mode passeggere, per porre invece attenzione verso la qualità e la sostenibilità della materia prima di cui è composto il prodotto.