Greenpeace e Shell: un caso di SLAPP e la fine delle controversie

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A dicembre si è conclusa la causa giudiziaria tra Greenpeace International e Shell: con un accordo extragiudiziale, le due parti hanno potuto calmierare lo scontro.

In base all’accordo preso, l’associazione ambientalista raggiunge un traguardo, non dovendo risarcire la compagnia petrolifera, bensì donando circa 360.000 euro alla Royal National Lifeboat Institution, un’organizzazione non profit britannica che si occupa di sicurezza e soccorso in mare.

Inoltre, le proteste di Greenpeace negli stabilimenti allestiti da Shell nella parte settentrionale del Mare del Nord, ormai in declino, sono momentaneamente sospese.

La contesa era aperta dal gennaio dello scorso anno, quando il colosso petrolifero aveva fatto causa all’organizzazione ambientalista per l’agito di 4 attivisti che avevano occupato una piattaforma della Shell per circa 15 giorni. 

L’azione di protesta, secondo Shell, mise in una situazione di pericolo l’intero equipaggio e per questo motivo chiese un risarcimento di oltre due milioni di euro.

Secondo Greenpeace invece, la causa aveva come unico obbiettivo l’intimidazione. Tale tipo di operazione non è nuova, ed è denominata Strategic Lawsuit Against Public Participation (SLAPP).

Si tratta di una azione legale avviata da grandi aziende non allo scopo di vincere la causa, ma solo di intimidire chi si oppone al loro operato. La SLAPP è una pratica estremamente diffusa soprattutto in Italia, paese UE con il più alto numero di azioni audaci: 26 solo nel 2023.

Sul tema della SLAPP l’UE pubblica annualmente un report, CASE – SLAPPs in Europe: Mapping Trends and Cases, in cui sono presenti dati e maggiori informazioni a riguardo.

In Italia i principali bersagli di SLAPP sono giornalisti, testate media e i relativi dirigenti, attivisti ed ovviamente le ONG.

Nel report sono analizzate anche le cause che più spesso portano ad una SLAPP: nel 36,1% dei casi l’azione è stata avviata in seguito ad un tentativo di rendere pubblici fatti di corruzione. Per questioni ambientali la percentuale è al 16,1%.

L’ultimo caso di SLAPP in Italia è relativamente recente e ha riguardato ENI, la stessa Greenpeace e ReCommon. La principale azienda energetica italiana, all’inizio del 2024, fece causa per diffamazione alle due organizzazioni no-profit.

L’accusa era di aver messo in piedi “una campagna d’odio” nei confronti dell’azienda, ma dietro si celava l’intenzione di distogliere l’attenzione dalla causa climatica (climate litigation) che le due organizzazioni avevano intentato circa un anno prima nei confronti della stessa azienda.

Nella causa civile, Greenpeace e ReCommon chiedevano di accertare le responsabilità di ENI SpA, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Cassa depositi e prestiti riguardo i danni alla salute, all’incolumità e alle proprietà di molti cittadini italiani.

Tornando al caso Shell, l’accusa di SLAPP non è tra le prime questioni che li riguardano. Nel 2023 infatti, la stessa azienda, nel Regno Unito, era stata accusata di greenwashing, ovvero di fare pubblicità ingannevole riguardo i temi ambientali.

Nello specifico l’azienda energetica aveva prodotto tre pubblicità, sia cartacee che digitali, dove si vantava di riuscire a fornire energia pulita a 78 mila case nel sud dell’Inghilterra. Obbiettivo in quel momento non ancora raggiunto. Il caso che ne scoppiò costò il posto anche al responsabile del settore energie rinnovabili Thomas Brostrom.

Anche Envi.info si occupò della questione e ne sottolineò l’aspetto comunicativo centrale sia per il greenwashing e sia per la SLAPP utilizzata per “nascondere” una notizia.

In ambito ambientale e trattando il delicato tema dei cambiamenti climatici è fondamentale comunicare in maniera corretta e basandosi sempre su dati reali.

Foto di copertina: Greenpeace