La repressione dell’attivismo climatico è in crescita

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L’emergenza climatica non può essere affrontata se coloro che lanciano l’allarme e chiedono di agire vengono criminalizzati.

Sono parole di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dell’ambiente. L’allarme riguarda vari paesi europei, tra cui Italia, Francia e Germania, tutti stati firmatari della Convenzione di Aarhus, entrata in vigore nel 2001.

All’interno del position paper, pubblicato ad inizio febbraio, Forst denuncia un crescente livello di repressione ai danni dell’attivismo climatico. La richiesta ai propri governi e alle istituzioni è un’azione politica più rapida ed efficace per contrastare il cambiamento climatico.

L'ostilità verso tali movimenti è riscontrabile anche nel linguaggio che i media e le istituzioni politiche stanno veicolando per descrivere gli attivisti.

Un approccio comunicativo definito dallo stesso Forst come “dispregiativo e diffamatorio”. Viene sottolineato che molti esponenti politici utilizzano in modo deliberato il termine “violenza” al posto del più corretto termine “disagio”. Le proteste ambientaliste sono inoltre relegate a “capricci” di “eco-fanatici radicali”.

Tutto ciò permette a media e politica di giustificare l’inasprimento delle pene e l’utilizzo della forza, in certi casi indiscriminato, da parte delle Forze dell’Ordine, per reprimere i movimenti di protesta.

Il nostro paese nello specifico è citato per la legge del 2024 sui cosiddetti “eco-vandali” punibili con pene fino a cinque anni di detenzione e multe fino a diecimila euro.

Tra le ultime campagne sui temi della giustizia ambientale troviamo Ecogiustizia subito!, nata in Italia dall’alleanza di varie importanti associazioni tra cui ARCI, Legambiente e Libera.

L’iniziativa chiede alla politica di portare a termine le bonifiche dei 42 Siti di Interesse Nazionale (SIN). Si parla di zone dove aggrava la salute degli abitanti, secondo dati confermati da recenti studi epidemiologici.

In paesi come Francia e Portogallo, dove fino al 2023 non ci sono mai state sanzioni per tali proteste, negli ultimi due anni si è assistito ad una preoccupante escalation di leggi repressive.

L’accusa per alcuni manifestanti è di aver bloccato il traffico e di “aver messo in pericolo” delle vite. Nel Regno Unito sono cinque le persone attualmente in carcere per aver collaborato al blocco pacifico di un’autostrada. Le condanne variano dai tre ai cinque anni.

Questa tendenza è globale e non sembrano contare le differenze tra paesi più o meno democratici. I tre paesi dove è più facile finire in manette dopo una manifestazione sono tre grandi democrazie, come il Canada, Australia e Regno Unito.

In America Latina, soprattutto in Colombia, sono ancora centinaia le persone uccise ogni anno per aver preso parte a eventi di attivismo climatico. Tornando in Europa, in Germania si percepisce una preoccupante crescita della violenza di singoli cittadini contro i manifestanti che bloccano il traffico. Si verificano anche operazioni di repressione messe in atto da apparati di sicurezza privati che fanno parte di grandi gruppi energetici.

Nel position paper si legge poi un invito per gli Stati ad intervenire per contrastare le narrazioni che presentano come criminali i difensori dell’ambiente e i loro movimenti. Questo anche in rispetto degli obblighi internazionali relativi alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione.

Secondo Forst in conclusione è necessario che “l’opinione pubblica si renda conto di quanto sia essenziale ascoltare ciò che i difensori dell’ambiente hanno da dire”.